Saturday, June 28, 2008

Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso...

Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso…

Lunedì 12/03/2007 (Segunda-feira)

Bete ha qualche impegno di lavoro; deve tornare al suo appartamento. Siamo d’accordo di risentirci nella tarde, per un giro allo “Shopping Barra”, il centro commerciale dove si può passear, guardare i negozi, prendere un gelado. Nel pomeriggio le telefono: mi pare di capire che non è libera e il giro previsto è rimandato. Ne approfitto per recuperare un po’ di forze e frenare l’emorragia di denaro. Ceno da solo. Faccio un salto alla zona del porto, ma oltre ai soliti molestatori non faccio alcun incontro interessante.
Il secondo giorno della nostra conoscenza, quando ancora faticosamente, cercavamo di fare conversazione in spiaggia, avevo chiesto a Bete se esisteva una differenza fra le tonalità della pelle scura degli abitanti del Brasile. Mi aveva risposto che c’erano diversi tipi di carnagione. La creola è la tipica donna di Bahia, la più “africana”, la più scura; quella che viene fotografata con i costumi tradizionali e appare sui depliant delle agenzie di viaggio, sulle cartoline; la si trova raffigurata negli oggetti di artigianato e la sua silhouette è riprodotta anche sui teli e sui pareo da spiaggia.
Ci sono tonalità via via più chiare, di cui non ricordo il nome. Bete si definisce “morena” e aggiunge “cor de canela” (color cannella), riferendosi probabilmente ad una frase di Jorge Amado, l’autore di Dona Flor e i suoi due mariti; o al tipo di carnagione dell’interprete principale dell’omonimo film, Sonia Braga, lei pure, come lo scrittore, nativa di Bahia.
Bete si fa viva dopo cena. Mi aveva cercato verso sera per uscire insieme. Io invece mi ero convinto che avesse degli impegni di lavoro e che ci saremmo rivisti il giorno dopo in riva al mare. Saliamo al mio appartamento. Amore e sesso con il solito copione. Veramente la mia perversa fantasia mi aveva suggerito un piano per supplire alle defaillances fisiche. Non essendo in grado di sodomizzare la mia compagna dopo averla fatta godere con la bocca, con le dita e, bontà sua, anche con l’uccello, avevo predisposto una bottiglia vuota di birra, con l’imboccatura non troppo larga, da introdurre nel culo della donna al posto del mio birillo inaffidabile. È un tipo di giochetto anale che pare sia molto diffuso fra gli omosessuali. Ne parla anche il Dr. Reuben nel suo: Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere, un best-seller degli anni ’60. E anche Fassbinder ne fa menzione in un suo film.


Purtroppo (o per fortuna?) il mio progetto un po’ porco e azzardato va a monte: il secondo canale della signora è temporaneamente off-limits a causa delle mie ardite introduzioni del giorno prima, quando avevo ancora le unghie non curate. Solo con molta pazienza e grande circospezione esploro l’ano di Bete con l’indice. In compenso, è lei che ha in serbo per me una piccola sorpresa. Mi posiziona con il sedere a 90° per leccare e titillare il mio buco. Non sono un amante del genere, soprattutto se il culo è mio, ma lascio fare e, come Totò in una famosa scenetta televisiva in cui racconta di essere stato picchiato di brutto da uno sconosciuto che l’aveva scambiato per un certo Pasquale, mi domando: “ma questa dove vuole arrivare?”.

A un certo punto, mi abbandona per qualche secondo in quella poco virile posizione. Torna con il dito cosparso di una specie di crema. Mi lascio lubrificare, però, dopo pochi secondi, mi sento come Federico Barbarossa quando pronunciò la storica frase: “Bruciate-Mi-lano!”; ho l’orifizio anale in fiamme, impongo l’immediata sospensione della maldestra manovra. Poi apprendo che Bete, evidentemente una dilettante dell’arte amatoria, aveva utilizzato un po’ del suo dentifricio al mentolo!

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Wednesday, June 25, 2008

Brasile 4 - Italia 1

Brasile 4 Italia 1

Domenica 11/03/2007- Pomeriggio (Domingo - tarde)

Verso sera io sono ancora uno straccio, però, dopo un po’ di riposo nel mio quarto (appartamento), al posto della cena, di nuovo baci e coccole. Come solito, le carezze si fanno più approfondite. Questa volta decido di risparmiare le forze, dedicandomi a Bete senza le acrobazie della notte. Mi distendo al suo fianco; la mano libera sfiora il suo corpo, scivola sulla curva dei fianchi, indugia sul pube. Ormai le zone erogene della mia partner mi sono note. Stimolo l’esterno e ottengo l’umidità necessaria per muovere indice e medio all’interno della vagina. Pian piano possiedo manualmente la mia amante, anche se a rigor di termini, sarebbe più indicato definirlo un possesso “digitale” poiché portato avanti con il solo uso delle dita. A questo punto non trascuro i piaceri anali. Inumidisco con la saliva il dito preposto all’esplorazione. Tutta l’area circostante la vulva è bagnata. Introduco lo strumento nello stretto cunicolo con tutte le cautele e la delicatezza del caso. Bete risponde bene: si aspetta una doppia penetrazione “digitale” come la notte precedente e in effetti così procedo non potendo fare altrimenti. La velocità e la forza delle spinte è lenta ma costante. Aumento un po’ il ritmo. L’oggetto delle mie incursioni nel mondo del proibito accoglie il tutto con fiducia e una certa partecipazione; ma ora voglio farle provare il massimo della lussuria. Cambio disposizione in modo da avere l’indice libero che introduco facilmente nel culo; non pago, quando il momento è opportuno, azzardo l’accoppiamento con il medio. Bete si ritrae un po’, sospira, come trasognata mi invita ad andarci piano: “Lento, lento…”. Interrompo le spinte nell’ano, ma non abbandono completamente la postazione ora che lo sfintere è abbastanza dilatato. Riprovo. Finalmente la manovra ha successo: l’ano della mia femmina ospita agevolmente due intrusi che si danno un gran daffare…forse troppo. Non ho avuto il tempo di curare il taglio delle unghie e alle volte i movimenti delle dita le provocano una piccola reazione dolorosa che poi si esaurisce in un languido: “Piano, piano…”. Sono i piaceri proibiti del masochismo soft.
Alla fine mi rendo conto di stare un tantino esagerando con le mie smanie esplorative. Desisto e cerco di ritornare ad un rapporto normale, ma come solito il mio uccello è svogliato e fiacco come se avesse appena trasvolato l’Oceano Atlantico. Procuro comunque alla mia compagna l’orgasmo che si è meritata.
Sono preoccupato per la mia debolezza, per un’insolita sensazione di affaticamento cardiaco, come quando sei in debito di ossigeno e anche i profondi respiri non sembrano sufficienti a farti sparire l’affanno; inoltre anche l’autostima non è propriamente alle stelle. Bete mi conforta: ci vuole pazienza e riposo. Rimaniamo ancora distesi sul letto; io cerco inutilmente di dormire.
Più tardi, ancora tenerezze. Bete si siede sul bordo del letto, vicino alla finestra. Vorrebbe essermi d’aiuto, mi dichiara il suo amore e la sua gratitudine, mi accarezza a lungo, in silenzio.
- Eu gosto muito você – mi dice, e le piace molto anche la mia pica, il mio cazzo. Lo tocca, lo annusa estasiata, come un sommelier quando sta per degustare un vino pregiato; lo bacia, lo inumidisce con la lingua. Il mio organo, fatto inaspettatamente oggetto di tali lusinghe e attenzioni, dà qualche segno di rinvenimento. La generosa signora inizia un pompino in piena regola. Ci sto. Le guido la testa facendole capire che preferisco quando il cazzo è tutto dentro la sua bocca. Non amo troppo i movimenti di contorno con la lingua, i bacetti, le leccatine. Voglio che accolga la mia carne fino alle tonsille e anche oltre; bramo sentire le labbra scorrere su tutta l’asta mucosa il più a fondo possibile, con movimento lento e continuo. Quando lei tende ad accelerare, le prendo delicatamente il capo riportandola alla giusta velocità. Per non stancarla, ogni tanto le trattengo il viso, muovendo decisi colpi all’insù con il bacino. Dovrebbe essere un pompino con i fiocchi che farebbe tornare in vita un moribondo, ma mi sento comunque tanto lontano alla meta, troppo lontano…
Bete è paziente e volenterosa. Cambio posizione: la fellatio di fianco mi fa sentire un po’ troppo spesso il filo dentale. Mi sporgo sul letto per avere la bocca della donna proprio di fronte al mio sesso. Il dondolio continua per un bel po’; lei ce la mette tutta e anch’io; tuttavia, la mia mente apprezza ma il corpo non risponde al desiderio. L’oscillazione della testa copre tutta la lunghezza possibile del membro, con un movimento di andata e ritorno lungo un asse perfettamente longitudinale. Il ritmo del gioco è calmo, come piace a me, ma il tempo è lungo. Mi preoccupo che Bete non si affatichi troppo. Ogni tanto afferro l’uccello e mi masturbo a pochi centimetri dal suo volto. In questi momenti di pausa, come una riconoscente cagnolina, la mia partner si accuccia di fronte a me e, facendo scorrere la lingua nella zona del perineo, si produce in deliziosi leccamenti attorno al mio buco.
Riprende la fellatio: ancora qualche estenuante su e giù e finalmente, dai più profondi recessi dello scroto, sale la linfa del maschio ed erutta, come era nei suoi più libidinosi desideri, nella bocca della femmina. Sublime, miracoloso evento che prende Bete alla sprovvista. Ha un colpo di tosse; parte del liquido si spande a terra, ma lei riporta subito il mio organo in bocca mentre si esauriscono le piacevoli contrazioni.
Alla fine mi guarda con occhi stanchi ma soddisfatti, lieta di avermi procurato il piacere dopo tanto penare e tanta fatica. La bacio con sincera gratitudine:
- Muito obrigado! -
Sono soddisfatto: ho segnato il goal della bandiera. Brasile 4Italia 1, come nella finale del campionato del mondo di tanti anni fa. Partita in notturna. Il luogo dell’incontro è tutto sottosopra. Sulle mie labbra, sulle dita, nel naso, sul letto, nella stanza è uniformemente sparso l’aroma voluttuoso e penetrante della fica.

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Sunday, June 22, 2008

Sodo?...mah

Sodo?…mah

Domenica 11/03/2007- Mattina (Domingo - amanhã)

La mattina seguente a quella notte di sesso in cui io non avevo granché dormito per eccesso di stanchezza o per l’eccitazione non sfogata, Bete mi rivolge tenere parole d’amore, mi accarezza, mi bacia, mi dice che “eu gosto muito você” (io le piaccio molto) ma è un po’ triste perché ritiene di non piacere altrettanto a me. Si riferisce probabilmente al fatto che non sono riuscito a venire, evento che lei ha interpretato come uno scarso gradimento nei suoi riguardi. La rassicuro su questo:
– Non è colpa tua, anzi, sei una caldissima amante. Sono io ad avere dei problemi: mi sento particolarmente fiacco; ho la pressione bassa, la circolazione al minimo. Ci vorrebbe il Viagra… -.
– No, non occorre – replica – ci vuole solo un po’ di pazienza e presto tornerai in forma –.
È lì, distesa sul letto con i capelli sciolti e un po’ ondulati, il corpo rilassato e invitante, la pelle color cacao lucente e tonica: come non approfittarne? Le propongo un massaggio, rilassante per lei, eccitante per me. È in posizione supina; le salgo sopra appoggiando le ginocchia ai lati del corpo in modo che i miei genitali le accarezzino il solco della schiena e le natiche. L’uccello rialza la testa. Appoggio le mani sulle spalle della mia partner, massaggiando i deltoidi, il trapezio, i fianchi. Scendo lentamente, con voluttà, lungo la schiena, ora scivolando sulla pelle morbida come seta, ora soffermandomi per esercitare una certa pressione sulle vertebre.
Il membro vibra e oscilla in risposta ai miei movimenti, strofinandosi con libidine sul corpo della femmina, così come l’anima di legno del violino, a contatto con la tavola armonica, trasmette le vibrazioni delle corde all’intero strumento. È un’operazione piacevole che cerco di portare a termine con impegno. Mi sposto verso il basso seguendo le curve del corpo, ben rilassato e a mia completa disposizione. Evento raro, per non dire impossibile che una donna delle mie parti si abbandoni così completamente nelle tue mani, docile ai tuoi voleri, sollecita ai tuoi desideri come la mia Bete…Perlomeno, a me non è mai capitato…
Affondo le mani nella torbida fenditura tra le cosce per massaggiarle dall’interno, sfiorando maliziosamente il pube. Con molta professionalità, mi impegno a non deviare dal programma che mi ero imposto. Esercito la mia arte sul sacro, sui glutei, le gambe e i piedi.
Finalmente, è giunto il momento di spogliarmi della fredda e distaccata veste professionale – si fa per dire, giacché, al pari della mia morbida paziente, sono completamente nudo – per concedermi uno svago di reciproca soddisfazione.
Le accarezzo le natiche con gesti ampi e sempre più profondi. La vulva, verso cui scorrono le mie dita impazienti, è già umida. Introduco senza indugio l’indice e il medio e le sollevo il sedere per rendere più agevole il movimento a stantuffo. Mi abbasso per titillare con la lingua il punto di congiunzione delle grandi labbra, senza trascurare rapidi passaggi sul buchetto soprastante. La zona è perfettamente pulita e la fica gustosa e fragrante. Ormai ho scoperto che la signora gradisce la penetrazione anale, cosicché, lubrificando il piccolo pertugio con il solito sistema, mi faccio strada entro di esso lavorando a due mani: una per la vagina, l’altra per il secondo canale.
Con molta cautela, ad un primo dito che faccio rigirare nell’ano, aggiungo un secondo a dar manforte. La mia partner non si oppone a quegli esperimenti, anche perché continuo ad affondare l’altra mano nella vagina. A un certo punto, sostituisco le due dita più lunghe con il pollice, spinto energicamente, con movimento a vite, oltre lo sfintere anale, verso l’ignoto che si trova al di là delle colonne d’Ercole. Sono insaziabile. Provo ad introdurre anche il pollice della sinistra, in modo da allargare al massimo l’orifizio, ma la mia donna scuote il sedere per indicarmi che le sto chiedendo un po’ troppo.
Mi “consolo” lavorando energicamente con la destra: il pollice nel culo; l’indice e il medio, a mo’ di pinza, nella fica e le due dita rimanenti sulla la parte esterna del pube a stimolare le altre belle cose che si trovano in zona. Si tratta di una perfetta manovra di accerchiamento: il Monte di Venere, comprese le retrovie e la prima linea di trincea è presa in una morsa e alla mia mercé. Il succo, il concentrato, l’essenza della femmina è letteralmente in mano mia.
Per operare al meglio, mi appoggio alle natiche della mia ubbidiente Justine, mentre con tutte le dita della mano libera eseguo energici movimenti percussivi, rotatori, oscillatori, stringendo entro una salda presa la membrana che separa la cavità rettale da quella vaginale. È come impastare il pane. Percepisco distintamente, con il pollice in azione, il piccolo terremoto provocato dagli intrusi al piano di sotto. La posizione della mano è molto simile a quella del giocatore di bowling il quale, appunto, infila le dita negli appositi tre fori presenti sulla palla, allo scopo di controllarla, mirare e lanciare.
Mi viene da pensare con amarezza che, stante le attuali condizioni del mio birillo, posso fare strike solo con le mani. Solo l’uomo, inteso come specie, può procurare questo particolare godimento alla sua femmina, poiché, a differenza degli animali, il maschio umano è sì dotato di intelligenza, ma anche del famoso dito opponibile, il pollice, che si muove in senso opposto alle altre dita, consentendo alla mano di chiudersi a pinza e afferrare saldamente gli oggetti. Anche gli scimpanzé e le altre scimmie superiori possiedono questa caratteristica, ma non hanno delicatezza, intelligenza e altruismo a sufficienza per prodigarsi nella stimolazione erotica della propria femmina. La donna dovrebbe essere grata all’uomo per questo privilegio a lei riservato, unica fra i mammiferi, e invece è sempre scontenta a priori, alle volte addirittura disgustata e non si lascia nemmeno avvicinare; perlomeno, questa è la mia esperienza.
Il pieno possesso della mia complice sessuale sarebbe completo se, dopo tutta quella preparazione, fossi in grado di sodomizzarla, come certamente lei si aspettava a quel punto. Purtroppo, nel verbo “sodomizzare” è indicato anche il requisito fondamentale per portare a termine l’atto; cioè, è necessario che il fallo sia ben “sodo” per infilarsi agevolmente nel culo della propria amante e io non dispongo, in questo cruciale momento, di un organo all’altezza della situazione. Provo ad indicare al mio riottoso vessillo virile la via della perdizione e del peccato, così invitante, lubrica e aperta, ma non risponde ai miei comandi e tanto meno ai miei desideri, cosicché ancora una volta non se ne fa nulla.
Sono sfinito: il tour de force della notte più la performance del mattino mi hanno distrutto. Ho le palpitazioni e un senso di vuoto al basso ventre misto a nausea; ma non è fame. Non ho nessuna voglia di introdurre cibo; mi sento come sul punto di collassare o prossimo all’infarto. Dopo una doccia torno a distendermi. Bete vorrebbe che andassimo, nel pomeriggio, in un posto carino che conosce lei. Va bene, ma prima propongo un buon riposo. Si corica mansueta al mio fianco.
Alla tarde sono ancora debole; le palpitazioni si sono attenuate ma la sensazione di affaticamento non è scomparsa. Usciamo. Con il solito taxi ci portiamo verso la zona sud di Salvador. Percorriamo bellissimi viali alberati con esemplari sicuramente centenari, a giudicare dall’imponenza del tronco e della chioma. Scendiamo davanti all’Hotel Victoria Marina. Superata la hall e acquistati i biglietti, dal solarium dell’albergo prendiamo una seggiovia che dal livello stradale scende fino al mare. Dalla parte bassa della scogliera si distende un ampio pontile dove si trova un elegante locale con ristorante, bar e qualche piscinetta per i bambini. Ci sediamo ad uno dei pochi tavoli liberi che è un po’ troppo vicino alle piccole vasche: ogni tanto arrivano fastidiosi spruzzi d’acqua. È pieno di gente, come sulle nostre spiagge alla domenica. Il posto è frequentato soprattutto da giovani, ma si vedono anche numerose famiglie con i bambini, quelli appunto che giocano con l’acqua. C’è una bellissima vista sulla baia. Bete mi dice che nel gruppo delle sue amiche, tutte appartenenti alla buona società e di condizione benestante, ce n’è una che possiede un motoscafo. Una volta, con quella imbarcazione, erano andate “in gita” a Rio de Janeiro che si trova a 800-1000 km più a sud.
Io non ho fame e la mia compagna, per mia fortuna, è molto frugale riguardo all’alimentazione. Prendiamo un piatto di pesce, delicato e appetitoso, sufficiente per entrambe. Naturalmente, tutto è a mie spese. Sono uno strano gigolò: attempato, in eccesso di peso, sollecito nell’esaudire ogni capriccio della sua amante, pagando di tasca propria, e per giunta impotente…
Rientriamo con l’autobus (riesco a convincere Bete perché la distanza è breve). Salvador è ben servita da questi mezzi pubblici, che qui chiamano onibus e sono utilizzati da moltissima gente, tutti coloro che non possono permettersi né l’auto privata, né il taxi. La bicicletta sarebbe improponibile, vista l’estensione della metropoli, e il treno pare che non esista se non per il trasporto merci.

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Monday, June 09, 2008

Sex and the city

Sex and the city

Domenica (ore piccole) 11/03/2007 (Domingo: primeiras horas)

Ancora qualche bacio. La invito a fare la doccia. È perfettamente a suo agio e si muove per casa con la più grande naturalezza. Si spoglia senza alcuna esitazione. Io la seguo sotto l’acqua quente. Afferro il sapone e mentre stringo e bacio la mia compagna accarezzo il suo corpo umido cospargendolo di schiuma. Insisto soprattutto nelle parti intime. È molto eccitante. L’uccello si risveglia e comincia a volare. Lo muovo su quella pelle morbida e lubrica ma vuol sempre tornare verso il nido, nell’incavo fra le gambe. Lei si stringe a me e risponde ancheggiando divertita alle mie spinte con il bacino. La destra si è aperta un pertugio fra le sue cosce, scivolando con mossa sicura nel solco naturale che congiunge le natiche alle grandi labbra. Al termine della doccia, asciugo la mia donna con pochi ma appassionati gesti da amante, strofinandola delicatamente con il telo da bagno.
Finalmente è nuda, calda e disponibile sul mio letto: un miracolo se penso ai decenni di vacche magre e forzata astinenza che ho dovuto sopportare in quella città di mummie e sfingi che è tuttora Ferrara. Ho intenzione di dare sfoggio delle mie arti amatorie. Trattamento delle grandi occasioni. Cinque stelle, categoria lusso. Le salgo sopra: baci, carezze e succhiotti ai capezzoli; poi scendo rapidamente nell’area proibita del sottocintura. Trovo una comoda sistemazione davanti al mio parco giochi preferito, con il viso affondato fra le cosce e le mani libere di svagarsi in giro. La lingua inizia un delicato ma deciso movimento in su e in giù, alternato ad oscillazioni della testa lungo l’asse longitudinale, movimenti rotatori, risoluti “affondi” del naso usato come il vomere di un aratro su quel ubertoso campicello, e risucchi applicati alla punta del clitoride che ha già fatto capolino fra l’umida erbetta come un fungo dopo la pioggia.

Ben presto il suo bacino comincia a muoversi ritmicamente offrendosi ai passaggi radenti della lingua, sempre più tesi e frenetici. Ottengo dei languidi: “
Bom, bom!…”…”O meu amor!…”, sospiri, tremiti e infine gli spasmi del piacere.
Soddisfatto, con la bocca impasticciata di muco vaginale, il naso umido come quello di un cane – il miglior amico dell’uomo ma anche, evidentemente, della donna –, calo l’asso di bastoni che non mostra tutto il vigore dei bei (?) tempi andati, ma insomma, si difende. Mentre sono lì che penetro con un certo impegno la mia partner – la lingua nella sua bocca e il membro in vagina – la mia inesauribile fantasia mi induce a sperimentare altre emozioni, a sondare nuovi punti di piacere.
La destra accarezza lo spazio umido e molle che sta attorno al parco dei divertimenti. Le dita incontrano il buchetto dell’ano, tutto chiuso. Mi tenta. Lubrifico l’indice intingendolo come una penna nel calamaio mucoso dove già si trova la più grossa stilografica. Lambisco l’orlo del buchetto con il dito inumidito e poi lo spingo un po’ dentro per saggiare le reazioni della mia partner. Si sta godendo un bel film erotico che mi piacerebbe definire “lungometraggio”, ma si tratta, ahimè, di un filmato di media lunghezza se non proprio un “cortometraggio”; comunque, nessuna reazione di stop da parte di lei. Bene, procediamo. Delicatamente allargo l’orifizio con piccoli movimenti rotatori e contemporaneamente applico una leggera spinta verso l’interno. Quando sento la parete del piccolo tunnel un po’ asciutta, allento la tensione, estraggo la sonda e la cospargo con il succo di fica che fuoriesce dalla sua sede. Tutto procede a gonfie vele. La cavità anale risponde bene alla penetrazione. Al tatto appare pulita e ben lubrificata.
Cambio dito. Tolgo l’indice che ha fatto da apripista e introduco il pollice, più corto e meno agile ma più grosso. Con questo, stantuffo il retto della mia collaborativa amante mentre non smetto di penetrarla nel canale più ortodosso con l’organo a ciò preposto. La manovra è piacevolmente porca ma non è sufficiente a farmi venire. Bete, invece, dovrebbe essere al suo secondo orgasmo. Afferro la mia docile compagna e la invito a porgermi le terga. Il breve intervallo fra la precedente e l’attuale posizione alla pecorina è sufficiente a farmi perdere l’erezione: sono quei momenti in cui uno rimpiange di non aver fatto ricorso alle miracolose pillole che la chimica farmaceutica ha messo a disposizione dell’uomo moderno.
Scuoto un po’ il membro per risvegliarlo dal suo torpore, riuscendo in qualche modo a infilarlo nella fica ben aperta e liquorosa. Ma non dimentico l’altro canale, anch’esso discretamente dilatato e invitante. Di nuovo con il pollice faccio provare alla mia femmina i piaceri della doppia penetrazione – o almeno così mi illudo. Ancora non riesco a venire. Tra l’altro, tutti quei movimenti a cui non sono abituato, mi hanno affaticato terribilmente e sono tutto gocciolante. Tuttavia non mi do per vinto. Riporto Bete in posizione supina, deciso a mettere in atto la manovra che ha le maggiori probabilità di procurarmi un godimento completo. Mi sistemo a cavalcioni di fronte al suo viso, protendendo il mio scioperato strumento di piacere.
Ogni donna, da quel che ho potuto ricavare dalla mia carente educazione erotica, ha un suo modo di fare un pompino, così come ogni uomo ha un suo personale modo di gradirlo e gustarlo. Come sempre, si tratta di un problema di comunicazione…orale e di sensibilità reciproca.
Bete interpreta la cosa afferrando il mio pene, muovendolo a destra e sinistra sulle labbra semiaperte, soffregando la lingua sul prepuzio. Non è una soluzione particolarmente piacevole per me. Preferisco la penetrazione o per meglio dire, l’ingoio della carne, approfondito e prolungato, lento e continuo, con un moto ondulatorio esercitato su tutta l’asta, le labbra ben aderenti alla sensibilissima epidermide dell’uccello. I denti, o il casuale sfrigolio di questi sul prepuzio, non li gradisco proprio, anzi, rendono un po’ doloroso il contatto e mi fanno perdere la concentrazione.
Afferro dolcemente la testa di lei e senza parlare la guido in modo da ottenere il movimento che prediligo. Spingo ritmicamente il suo capo verso il mio bacino, senza forzare, fin quasi alla radice del membro, oppure trattengo la sua testa e muovo verso di lei entrando nella sua bocca fino a fine corsa. Quando la vedo un po’ stanca, estraggo il cazzo e glielo strofino sul viso, lasciandola riprendere fiato. C’è ancora qualcosa che vorrei farle comprendere ed è che sono troppo sensibile al contatto accidentale con la dentatura. Per evitare questo fastidioso attrito, il pene deve protendersi in direzione perfettamente perpendicolare alla bocca della donna, ovvero la testa di colei che opera deve trovarsi e muoversi ad angolo retto rispetto al bacino di lui. Le posizioni angolate, come quando la testa della femmina è appoggiata al cuscino, purtroppo non favoriscono la perfetta frontalità fra la bocca e l’organo; come quando si vuole avvitare un dado al bullone: i due oggetti devono essere perfettamente perpendicolari fra loro perché uno “ingrani” nell’altro.
Ad ogni modo, pur con tutta la servizievole buona volontà della signora, neppure in quel modo riesco a godere. Sono in un bagno di sudore, il cuore è in affanno e anche la mia partner appare provata. Alla fine getto la spugna. Rifacciamo la doccia. Bete mi è infinitamente grata: ha avuto due orgasmi ed è profondamente dispiaciuta che io non sia riuscito a venire. Sono sfinito. Ho le palpitazioni. Mi stendo sul letto e cerco di dormire. Lei si corica al mio fianco e si addormenta bocconi. Che strana, insolita sensazione quella di avere una donna nuda al tuo fianco che vorrebbe essere tua e che tu hai cercato di possedere in tutti i modi senza riuscirci. Un misto di orgoglio virile e di frustrazione.

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Monday, June 02, 2008

Depois, depois…

Depois, depois

Sabato 10/03/2007 (Sabado: noite)

All’ora convenuta, anzi un po’ prima, suona il citofono. Dalla guardiola mi avvertono che la signora mi aspetta al cancello. Scendo completando di vestirmi mentre faccio le scale.
Bete mi sembra diversa dalla signora che avevo conosciuto in spiaggia. Ha i capelli sciolti, un corpettino giallo, i jeans attillati e due eleganti sandali estivi. Ha un’aria sbarazzina. Si complimenta per il mio abbigliamento che è in realtà molto semplice: camicia, pantaloni leggeri e scarpe di tela: è quasi un vestito da sera rispetto alle solite bermuda o pantaloncini da spiaggia.
Passando davanti a un crocifisso, una scultura in legno posta su un lato del piccolo salone, mi chiede se sono cattolico. Rispondo che non sono religioso, non credo in Dio e non mi interesso delle cose di chiesa. Lei invece, pur non essendo molto rigorosa, si dichiara cattolica evangelista. Mi viene in mente che Salvador è anche definita la città delle mille igrejas. Nessuno dei due ha voglia di fare discorsi impegnativi. Entriamo nel taxi, ma proprio in quel momento, mentre sto per chiudere la portiera alla mia sinistra, sono trattenuto dal mio questuante “più assiduo”, il ragazzo con il braccio sciancato. Vuole un’offerta, naturalmente. Me ne libero in qualche modo e andiamo. Bete mi tiene la mano, come i fidanzatini di Peynet; io la cingo con il braccio libero. Finalmente, dopo una corsa interminabile per i viali della città (quasi 25 R$ che poi apprendo essere di più perché andava pagata anche la prima parte del tragitto, dalla casa della signora fino al mio alloggio) ci fermiamo davanti ad un locale dall’aria chic: il “Bambara”. Solo diversi mesi dopo vengo a sapere che questo strano nome ha radici africane. Si riferisce al popolo che ancora oggi vive nelle vaste pianure tra Guinea, Mali e Costa d’Avorio ed evoca la perigliosa via percorsa dall’esploratore francese René-Auguste Caillié nel 1827 per raggiungere la mitica Timbuctù.
Il locale comprende un estivo con una distesa di tavolini quasi tutti vuoti: i camerieri, in livrea bianca, sembrano più numerosi dei clienti. C’è una certa eleganza in giro a cui io non sono abituato. Ed ho anche qualche timore per il mio portafogli poiché ho notato che la mia dama applica evidentemente una convenzione del posto di antica origine cavalleresca-europea, secondo la quale è sempre l’uomo, a qualunque estrazione sociale appartenga, a pagare le spese, per sé e la propria donna; a lui compete mantenerla, letteralmente, anche se questa è benestante. Per fortuna Bete non mangia mai e anch’io, stranamente, da quando sono a Salvador, non ho mai appetito. Non ceniamo: io prendo delle batatas fritas e lei la famosa caipirinha, un drink a base di cachaça, lime, zucchero di canna e ghiaccio. Se si usa come base la vodka, il cocktail viene chiamato più propriamente caipiroska e caipirissima se si usa il rhum. Parliamo tenendoci sempre la mano come due innamorati.
Il marito di Bete, di vent’anni più vecchio di lei, soffriva di problemi al cuore (coração); per questo aveva subito un intervento alle coronarie e alla sua morte aveva lasciato la famosa fazenda alla famiglia. Da quattro anni la signora vive in città.
– Bete – le chiedo – da quando sei a Bahia non hai mai avuto un uomo? -.
– Solo un alemão (un tedesco), anche lui un po’ velho, 65 anni, con un lavoro importante e che stavo quasi per sposare, se mia madre, con i suoi consigli, non mi avesse fatto cambiare idea -.
Pare che questo alemão fosse un tipo strano, un depresso, con problemi psicologici che lui faceva derivare dallo stress da lavoro, ma che probabilmente erano dovuti alle sue vicende sentimentali (si era già separato un paio di volte). Io sono un po’ incredulo. Possibile che con tanti bei giovani in giro lei non abbia avuto altre occasioni?
– I giovani non mi interessano: non hanno niente nella cabeça – .
Preferisce le persone mature e infatti suo marito aveva molti più anni di lei e anche il tedesco era piuttosto stagionato quando l’aveva conosciuto. Bete ha la mia età, 54 anni, anzi ha circa due mesi più di me, ma pur portando molto bene i suoi anni, con una pelle liscia e un corpo sodo che farebbe invidia alle trentenni, io non ho la sua stessa inclinazione e sono più portato verso le donne giovani: sono loro, purtroppo a non avere interesse per l’uomo maturo, almeno per ciò che mi riguarda, alla faccia dei soliti luoghi comuni.
Ci lanciamo nella danza. Io improvviso una specie di merengue shakerato con ricordi di rock. Appena mi agito comincio a sudare. Ritorniamo al tavolo. Io sono impaziente di proseguire la serata nel mio appartamento, dopo la promessa di una notte di fuoco implicita in quel: “Depois, depois…” con cui la signora mi aveva temporaneamente distolto dalle focose intenzioni quando eravamo a casa mia.
Bete mi considera già ufficialmente il suo uomo, forse un futuro marito e faccio già parte dei suoi progetti. Avrebbe intenzione di vendere la fattoria e, con il ricavato, acquistare tre appartamenti a Salvador e vivere di rendita con gli affitti, senza la preoccupazione di mandare avanti un’azienda agricola. Io non dispongo di proprietà che mi consentano di vivere senza lavorare e il mio datore di lavoro non mi “lascerà” andare in pensione prima dei 65-67 anni.
– Per quello non ti devi preoccupare – mi dice – potresti occuparti della mia fazenda oppure, se la vendo, possiamo stabilirci in uno degli appartamenti che acquisterei –. Ha intenzioni serie: vorrebbe presentarmi a sua madre, ai suoi figli…
Aggiunge che aveva resistito al mio tentativo di far l’amore subito perché non voleva che pensassi male di lei. – Oh, non importa!...– rispondo mentalmente –…l’importante è che lo facciamo stanotte. –
Finalmente, con un altro taxi, si torna a casa: passeremo la notte insieme.

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