Sunday, August 26, 2007

DINheirO

Un po’ più tardi ci ritroviamo sul divano, di nuovo timidi come scolaretti. Vorrei coccolarla, dirle delle parole dolci, ma non so come fare, visto che nessuno dei due capisce la lingua dell’altro. Rimarrebbe il linguaggio del corpo, ma ciò che posso interpretare dal suo atteggiamento, è che l’ho penetrata fisicamente ma non sono riuscito ad “entrare” in lei, a conquistare la sua fiducia. Abbiamo fatto l’amore ma non siamo diventati intimi. Forse hanno ragione le donne: il sesso senza amore è insipido; ma loro hanno la possibilità di scegliere la persona con cui avere emozioni più intense e gratificanti, noi no.
Ci “parliamo” in parte scrivendo sul mio notes: il portoghese scritto è più comprensibile di quello parlato. È questo il sistema con cui Beethoven comunicava con gli amici quando era ormai completamente sordo. Nei suoi Quaderni di conversazione si trova anche il riferimento alla sua immortale amata, ambigua affermazione che ha scatenato fantasiose illazioni da parte di critici piuttosto ottusi: è chiaro che l’immortale amata del maestro di Bonn non era una persona fisica ma null’altro che la Musica, l’unica ragione della sua esistenza.
Gabriela è ritornata malinconica e pensierosa; cerco di rincuorarla:
- Mi dispiace di non essere riuscito a soddisfarti e che non hai gosto o amor.
- Oh non preoccuparti – mi rassicura – Sono un po’ triste per la saudade (la nostalgia) di mio figlio che non vedo da alcuni giorni.
Rimango un po’ stupito. Da un “dialogo “ precedente mi sembrava di aver dedotto che il piccolo rimanesse a casa con la nonna quando Gabriela veniva alla spiaggia, ma poi avevo appreso che la mamma della giovane mulatta è l’unica in famiglia ad avere un lavoro regolare. E allora, con chi sta il bambino quando Gabriela è fuori casa? Mi pare di capire che lui si trovi in una specie di asilo e che la sua mamma lo possa andare a trovare solo una o due volte la settimana. Elicio, questo è il nome del bimbo, compirà 3 anni il prossimo 1° aprile. Gli occhi di Gabriela si illuminano quando le chiedo del figlio, e il nome del bambino, accanto ad un altro nome maschile, è racchiuso entro un cuoricino disegnato sul ventre della ragazza.
- Da noi, in quel giorno, si usa fare una cosa buffa: il Pesce d’Aprile! – le dico, cercando di divertirla: Ma non comprende: forse è meglio così.
Mi sento in dovere di pagarle la cena.
- Andiamo fuori a cena?
- No grazie. Non ho fame; ho già mangiato a casa,
In verità, neppure io ho appetito. Tutto quel trambusto mi ha affaticato e la reazione indotta dalla doccia mi fa sudare copiosamente. Ho solo sete.
Mi sento più a disagio ora, stando qui, comodamente seduto sul divano, in distaccato colloquio con la mia amante ritornata un’estranea, di quanto non lo fossi poco prima, sperimentando quelle deliziose porcherie.
Alla fine, scrivendo, Gabriela si decide a chiedermi quello che temevo: del dinheiro. Sulle pagine del quaderno che porto sempre con me per raccogliere gli avvenimenti del Diario, compare questa frase:
- Veu pagar o TAXE.
Immagino voglia che le paghi il taxi.
- Vanno bene 20 R$? – Fa cenno di sì.
- Me la cavo con poco – Penso fra me e me. Del resto, avevo già investito molto e inutilmente l’altro giorno, per lei e l’amica.
Non appare soddisfatta. Qualcosa ancora la turba.
Aggiunge alcune frasi sul quaderno, ma non capisco, anche perché la sua scrittura è arzigogolata e non afferro bene neanche i caratteri.
Alla fine, appare ancora quella parola: “TAXE”, in un contesto comprendente il nome di Jay – che le avrebbe detto qualcosa – e il numero “150” seguito da “dinheiro”. Ci rimango abbastanza male, ma non lo dimostro: noblesse obblige. Immagino che Jay sia una specie di mezzano e mi abbia procurato la ragazza alla non trascurabile cifra di 150 R$ (senza contare il resto). Non faccio storie, anche perché, non riuscendo a comprendersi, è facile incorrere in un equivoco. Voglio illudermi che quella sia la cifra che Jay le ha imposto e che dovrà spartire con il suo “pappone”. Le do il denaro. Aggiunge qualche altra parola e di nuovo mi lascia il suo numero di telefono.
Finalmente andiamo fuori. Compone un numero ad una orelha, ma non risponde nessuno. Si raccomanda di chiamarla (“vai ligar para mim”) per uscire ancora, poi mi saluta in fretta e corre dall’altra parte della strada dove prende l’autobus per tornare a casa.
Con molta pazienza e aiutandomi con il dizionario, solo il giorno dopo riesco a decifrare gli ermetici messaggi da lei lasciati sul mio quaderno. Jay l’aveva probabilmente istruita per comportarsi al meglio con il turista italiano: per una scopata avrebbe potuto chiedere 150 R$. Gabriela si rende disponibile ad uscire insieme (“para sair”), “para repeter”. Mi riprometto di farlo, ma solo al costo di una cena: 170 R$ dovrebbe essere il prezzo di una squillo di alto bordo, qui in Brasile.
Errare è umano. Spero che il diavolo non ci metta la coda, facendomi perseverare nell’errore.

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Wednesday, August 01, 2007

Pompa magna



Continuo ancora un po’ nei vani tentativi di far godere la mia partner. Il mio piacere è legato al suo: se non riesco a soddisfarla, neppure io sono soddisfatto.




Mi sollevo dalla posizione adorante in cui offrivo tutto me stesso a quella dea dell’amore un po’ distratta. Avvicino il fallo, non particolarmente partecipe della situazione e solo discretamente collaborativo, al viso di Gabriela.





La manovra, vagamente volgare, non crea imbarazzo alla mia amante. E’ distesa con la testa appoggiata al cuscino. Mi inginocchio su di lei, a gambe aperte, protendendo l’uccello che è ora a portata della sua bocca. Lo accoglie senza esitazioni fra le sue labbra color cacao; lo inumidisce con la lingua; lo afferra con una certa abilità con le dita sottili. Comincio a muovere il membro affondando e rinculando nella bocca di lei come fosse una vagina.
Oh che sublime, sfrenata lussuria può farti provare questo intimo contatto! Sono le emozioni che più rimpiango della mia breve ed incompiuta educazione erotica. Quanto vorrei che il mio cazzo fosse smisurato e saldo e inarrestabile come una trivella in cerca dell’oro nero, per aprirsi la via del piacere nel pozzo senza fondo di quella voluttuosa cavità!





Questo atto riproduce quel tipico movimento della nave definito “beccheggio”, dove la prua si solleva e si abbassa, trasmettendo alternativamente il movimento alla poppa lungo l’asse longitudinale. Ecco perché un capitano di “lungo corso” è anche, inevitabilmente, un uomo molto “navigato”.
La mia docile compagna non si stupisce di nulla e non si ritrae. Solo quando le mie spinte sono un po’ troppo profonde, mi trattiene gentilmente con la mano.




La fellatio è il tipo di rapporto che preferisco, forse perché è il contatto sessuale più simile alla masturbazione e se le labbra di lei esercitano una giusta pressione ad anello attorno all’asta, sostituiscono egregiamente le mani guidate dalla sensibilità autopercepita nel cosiddetto vizio solitario.


Devo purtroppo riconoscere che le femmine, comprese le cosiddette “professioniste del sesso” non sanno fare un pompino come Dio comanda.
Essendo prive del pene, non possono conoscerne i più intimi segreti; non sanno maneggiarlo al meglio, con le mani e con la bocca, non avendo esperienza diretta delle manovre, degli accorgimenti, della ricettività, dei punti più sensibili dell’organo che anatomicamente non possiedono.
Possono fare appello solo alla loro buona volontà, alla sensibilità e attenzione per certi movimenti o azioni che producono una reazione più o meno piacevole al proprietario del membro a cui stanno applicando le loro amorevoli cure. Le più volenterose ed esperte tenderanno ad adattare il ritmo, i movimenti avvolgenti della lingua, la “presa” delle labbra, esercitando un delizioso effetto di risucchio, in base alle positive reazioni che i medesimi atti avranno prodotto ai partner precedenti. Ci vuole dedizione, piacere nel procurare piacere, sensibilità fuori dal comune, elasticità mentale, pazienza, uno spirito affrancato da preconcetti moralistici e una certa dose di creatività, per un eccellente blow-job. Insomma, fare un buon pompino è quasi una missione. Ed io, di “missionarie” in tal senso, ne ho conosciuto troppo poche.

Però Gabriela, pur non arrivando a tali vette artistiche, se la cava bene e i miei dondolamenti a cavalcioni sul suo viso mi procurano una certa soddisfazione. Mi lascio prendere da quel piacevole giochino. Il mio sesso bianco sparisce voglioso dentro l’accogliente guaina.
Poche cose mi procurano altrettanto piacere come venire dentro la bocca di una donna. È una sensazione inebriante, di gioia animalesca e mistica al contempo. Si prova una liberatoria esperienza di possesso totale; la tua autostima tocca livelli altissimi, come quella di un sultano che dispone di un nutrito e variegato harem…anche se solo per qualche attimo. La tua partner diventa tutt’uno con il tuo organo del piacere; senti per lei un’infinita gratitudine e un’intimità senza pari.
Però in questa occasione non riesco a raggiungere quella trascendente condizione di ebbrezza. Ce la metto tutta e anche Gabriela mi aiuta con mano abile, ma non riesco a venire.
Approfitto della sufficiente erezione del membro. Invito Gabriela a girarsi e la prendo alla pecorina, deciso ad arrivare all’orgasmo, magari disposto ad estrarre il pene dalla generosa vagina prima dell’evento, eiaculando nella bocca di lei, come era la mia precedente intenzione. Molto più piacevole e nessun rischio di bebè. Spingo con una certa forza. Ha un bel culetto sodo e mobile; mi aiuta con pari energia porgendomi le terga con movimenti decisi che rispondono con moto contrario ai miei colpi.
Il ritmo si fa veloce. Mi sembra di essere un cow-boy a cavalcioni su una puledra selvaggia che si lascia domare. Afferro con entrambe le mani le natiche della mia cavallina, assecondandone il movimento. Con il pollice inumidito lambisco il buchetto dell’ano. Non ho intenzioni sconce: sperimento semplicemente delle carezze più approfondite per sondare la sensibilità della giovane donna. Alla fine, anche la penetrazione da dietro esaurisce il gusto della novità.
Rimetto Gabriela supina. Lei segue docilmente i miei desideri. Le allargo le cosce e faccio alcuni affondi vis à vis.
Porto le braccia sotto le sue gambe in modo da innalzarle il bacino, avvicinando la sommità del suo monte al fine di infiggervi più agevolmente l’asta del mio virile vessillo. Poche scosse. La mia mole rende particolarmente faticoso mantenere la posizione a lungo. Sono stanco e gocciolante. Ancora qualche bacio intimo sulla succosa fichetta, poi sono costretto ad abbandonare la lotta. Né io né lei abbiamo raggiunto l’orgasmo.





Le propongo la doccia: è anche la sua intenzione, ma non possiamo farla insieme, come avrei voluto: lo spazio non è sufficiente per entrambe.

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