Tuesday, September 16, 2008

Tre (mila) metri sopra il cielo

Tre (mila) metri sopra il cielo

Venerdì 16/03/2007 – Notte

Pian piano le luci si spengono attorno a noi. La mia compagna ha chiuso il libro e pare intenzionata a dormire. Spengo il faretto per non disturbarla. Ma io non riesco a prendere sonno. Mi sento come un pollo di batteria, non so dove mettere le gambe. Non ho spazio per allungarle sotto il sedile; se le piego verso il corridoio alla mia destra, intralcio il passaggio delle hostess; né posso piegarle verso sinistra, invadendo lo spazio della ragazza. Soffro stoicamente, in silenzio, in quella posizione rattrappita e sacrificata. La mia compagna, flessibile e sottile, può concedersi una maggiore comodità: riposa in diagonale con la testa appoggiata verso il finestrino. Quanto vorrei accogliere sulla mia spalla quel dolce peso…

Voglia di tenerezza, istinto paterno, intimità, amore, desiderio a 10.000 mt. di altezza. La mia fantasia vola più in alto dell’aereo… Tre (mila) metri sopra il cielo


Chissà. Viaggia sola. Viene a Milano a trovare il suo uomo o il suo bambino o tutti e due. Oppure è una ragazza madre sedotta e abbandonata che ha dovuto lasciare il bimbo in affido al padre, in Italia, dove ritorna ogni tanto per vedere la sua creatura, quando riesce a racimolare i soldi per il biglietto. Ma perché cedo a queste fantasie strappalacrime degne di una telenovela?
Si arriva così fino alla mattina che giunge relativamente presto poiché la rotta è verso nord-est, in direzione del sole. La mia partner non si è mossa dal suo posto. Non è neppure andata in bagno o a rinfrescarsi alla toilette durante le 10 -11 ore di viaggio. Io non ho trovato altri appigli per entrare in confidenza.
Iniziano le manovre di atterraggio, dopodiché il velivolo si ferma sulla pista, finalmente sul suolo italiano. Frenesia dell’uscita. Tutti i passeggeri convergono confusamente verso il portellone che sta per aprirsi, con lo sguardo truce e determinato dei pirati quando stanno per assalire l’equipaggio di un’inerme imbarcazione. La ragazza prende valigetta e sportina e si lascia trascinare dall’impetuosa corrente umana diretta verso l’uscita; io, ad una certa distanza, mi tengo in scia. Probabilmente ci sarà un uomo ad aspettarla in aeroporto: non sono riuscito a combinare nulla nell’arco di 10 ore, che speranze posso avere per i pochi minuti che ci restano prima della separazione definitiva? …Vecchio satiro che ancora ti illudi di sedurre una giovane ninfa…Desolate plaghe…Non è certo qui in Italia che possono accadere questi miracoli.
Espulsi dal ventre dell’aereo, come tante tartarughine appena uscite dall’uovo in corsa verso la salvezza nelle onde, i passeggeri si precipitano a guadagnare un posto sulla navetta che li trasporta verso il bordo pista e il controllo passaporti. Lei mi precede; nella confusione l’avevo persa di vista, ma ora la ritrovo, in piedi, pigiata vicino ad una porta dell’autobus su cui mi è impossibile salire. Mi vede. Lo sguardo è un po’ rassegnato come se fosse dispiaciuta che io non possa seguirla. In un attimo, rivedo la scena struggente dell’addio fra Humphrey Bogart e Ingrid Bergman in Casablanca.


Strano. Per tutto il viaggio ha evitato di dare seguito ai miei discreti approcci, come mai ora risponde al mio sguardo? Solo gentilezza e cortese imbarazzo? Oppure un minore riserbo ora che le circostanze ci dividono? Riesco a salire sul lato opposto del bus.
All’arrivo, dopo qualche minuto, seguo i suoi movimenti da una certa distanza. C’è una piccola difficoltà: i turisti italiani, la maggioranza, sono invitati a mettersi in fila da un lato per un sommario controllo documenti; i turisti stranieri devono disporsi su un’altra fila, probabilmente per un controllo più accurato. La ragazza bionda, pur essendo di carnagione simile alla nostra, si incolonna con gli extraeuropei.
Confido di rivederla al recupero bagagli; invece sembra essersi volatilizzata. Probabilmente non aveva valigie con sé. Forse vive in Italia con il figlioletto e il compagno e questo era un viaggio di routine per salutare i parenti nel paese natale, senza la necessità di portarsi dietro bagagli ingombranti. Anche la mia ultima, labile speranza di trovarla alla fermata dello shuttle per la Stazione Centrale di Milano, viene delusa. Addio mia dolce compagna di viaggio! Non ci rivedremo più…
Poi il solito brutale impatto con i modi furbi e bruschi, aridamente formali, cordialmente disinteressati dell’ambiente umano delle città del Nord, alienato e alienante. L’indifferenza e la freddezza delle persone con cui casualmente si incrocia il mio sguardo, la petulante invadenza della “dirimpettaia” nello scompartimento del treno, impegnata in interminabili conversazioni telefoniche, il severo distacco di certe figure femminili incrociate sul treno, enigmatiche e scostanti o immerse in cupi pensieri…
L’avventura è proprio finita. Riprende la lenta agonia di questo mondo di gelidi cyborg femmina, una specie di Blade Runner che ha perso la sua umanità inseguendo il fantasma dell'uguaglianza dei sessi. Ora dovrò mettermi nelle mani di andrologi, endocrinologi, sessuologi… E forse riuscirò ancora ad accendere qualche ultimo fuoco. È questo l'unico traguardo amoroso cui possono aspirare i cinquantenni: Tre metri sopra il Cialis.

FINE

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Sunday, September 07, 2008

Il volo del calabrone

Il volo del calabrone

Venerdì 16/03/2007 – Pomeriggio (Sexta-feiraTarde)

Siedo su una delle poltroncine di fronte alle porte d’imbarco. Mi sento come in una camera di decompressione che funziona alla rovescia. Lentamente il sottile veleno della civiltà, il tossico dei rapporti formali e paritetici, si riappropria della mia mente; torna a minare il mio spirito la perniciosa democrazia dei sentimenti. Attorno a me ci sono alcuni turisti, prevalentemente italiani. L’aura di cordialità e allegria cui mi ero abituato a Salvador, sta svanendo. Ripiombo gradualmente nel rituale distacco degli estranei, anche se della stessa nazionalità.
Al momento dell’apertura dei cancelli arrivano diverse persone, probabilmente locali, che si fermano al primo scalo. Queste hanno la precedenza. Quando anche noi italiani stiamo per avviarci verso il tunnel che porta direttamente sull’aereo, noto a poca distanza da me una bella ragazza sola, sui 25 anni, bionda, snella, lo sguardo un po’ smarrito, incolonnata con il gruppo che prosegue per Malpensa. Entro nell’aereo. Le hostess ci invitano a prendere posto nei sedili che troviamo liberi, poiché quelli che ci hanno assegnato al check-in sono formalizzati solo nella tratta intercontinentale, da Maceio a Milano. Mi siedo dove ci sono due poltrone vuote con la remota speranza che la ragazza bionda venga ad occupare il posto al mio fianco. Purtroppo lei prosegue, sistemandosi alcune file più indietro.
Partenza. Il primo ed unico scalo è dopo 45’ di volo. Quando il grosso dei passeggeri scende a Maceio e l’aereo raccoglie altri turisti italiani che fanno ritorno in patria, le assistenti di volo ricordano ai passeggeri di sistemarsi esattamente nel posto indicato dal documento di viaggio. Cerco il 37 A e, sorpresa, è proprio quello accanto alla deliziosa creatura bionda salita a Salvador!
Sta leggendo un libro. Con finta noncuranza mi dedico alla sistemazione del mio bagaglio a mano, un piccolo trolley e uno zaino. Nello stipetto sopra i nostri sedili la mia vicina ha già sistemato una valigetta nera e un sacchetto da cui spunta la carta a vivaci colori di una confezione regalo. Le chiedo, in italiano, se posso spostare i suoi bagagli per sistemarvi anche i miei. Senza parlare, mi fa cenno di passarle le sue cose per metterle sotto il sedile.
– Non c’è bisogno – le dico – li sposto solamente, così ci sta tutto –
Annuisce timidamente con gli occhi, in silenzio. Mi viene il dubbio che non parli la mia lingua.
– Sei italiana? –.
– No, sono brasiliana –.
In effetti la sua carnagione, impercettibilmente colorata e lo sguardo dolce e mansueto, mi confermano che non ha le caratteristiche di una ragazza nostrana, distinta quasi sempre da un atteggiamento di forzata spavalderia e scarsa disponibilità – per usare un eufemismo – soprattutto quando è carina.
Finalmente sono a contatto di gomito con una giovane e bella sudamericana, proprio ora che sto per lasciare il Brasile. Cerco di attaccare discorso:
– Sei di Salvador? –
– Si –
– Capisci l’italiano? –
– Poco, poco –
– È tuo figlio? – chiedo riferendomi alla foto-cartolina dove è raffigurato un bimbo piccolo e che lei utilizza come segnalibro.
– Si –, mi risponde con un dolce sorriso di mamma che le illumina il viso per un attimo.
Sono privo di argomenti, o meglio, potrei benissimo forzarla ad una conversazione facendole domande sul bambino, ma non voglio “abusare” della sua privacy. Se avesse avuto qualche interesse per me o per distrarsi durante il viaggio, si sarebbe lasciata andare a qualche domanda nel nostro precedente scambio di battute. Invece…
L’aereo si è quasi riempito. Vedendo salire molti miei connazionali con la pelle arrossata o abbronzata, faccio un ultimo tentativo per proseguire il dialogo:
– C’è molto turismo a Maceio. Non pensavo che avesse tanto richiamo –
Lei gentilmente risponde con il minimo di parole o con monosillabi: sorride, ma non dà corda. Mi impongo il silenzio per studiare la situazione e per non molestare la giovane con la mia insistenza.
Le hostess passano per distribuire le bevande e la “cena”. Da bravo cavaliere, trovandomi nel sedile di lato alla corsia, passo alla mia vicina il vassoio destinato a me. Le assistenti di volo ci scambiano per una coppia…magari fosse così!
Continua a leggere. Sono le 18:00 ora locale quando partiamo da Maceio. Ben presto si fa buio. Chiedo se le dà disturbo la luce che vorrei accendere sopra la mia poltrona. Con un garbato sorriso mi fa cenno di no. Proseguo la scrittura del mio diario, con la segreta speranza di destare qualche interesse in quell’anima sensibile – assorta lettrice di libri e forse non indifferente ai maturi intellettuali – come già era successo con Bete. Però, la situazione non si sblocca. Continuiamo nelle reciproche attività: lei legge e io scrivo; sembriamo la classica coppia delle barzellette sui carabinieri.

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Monday, September 01, 2008

Fica aqui!

Fica aqui!

Venerdì 16/03/2007- Mattina (Sexta-feira - manhã)

Copulatio matutina est bona medicina.
Più tardi riceviamo la visita della mediatrice dell’appartamento, Maria, per gli accordi riguardanti la mia partenza. Bete rimane al mio fianco senza alcun imbarazzo, perfettamente calata nel ruolo di mia rispettabile signora. Maria si complimenta con me per la distinzione e la bellezza della mia namorada. Ripete che sono un buon cliente; sottopone alla nostra attenzione alcuni bellissimi appartamenti, solo per noi due, quando io tornerò a Salvador. Non sa che Bete svolge il suo stesso lavoro, solo che Maria aloga prevalentemente nella zona del lungomare, mentre la mia nuova mulher dispone di locali più all’interno della città. Alla fine la mediatrice, come una maga Circe pronuncia con tono implorante e maliardo un’ultima frase per indurmi a restare ancora un po’: - Fica aqui! (“Rimanga qui”) per un’altra settimana! – È un invito piuttosto allettante ed esplicito, soprattutto agli orecchi di un italiano che associa il verbo ficar (= trovarsi; restare; ecc., in portoghese) con ben altro significato... Devo andare, purtroppo.
Io e Bete usciamo per un altro giretto sul lungomare. Consumiamo un hamburger con suco in quel piccolo bar dove mercoledì scorso Michelle mi aveva inflitto una bruciante umiliazione. Rientriamo. Io ho già completato le valigie; mi stendo sul letto in attesa delle 13:00, quando tornerà Maria per la riconsegna delle chiavi. Bete vuole accompagnarmi in aeroporto. Resisto ai suoi tentativi di convincermi a prendere un taxi: troppo oneroso e inutile. C’è l’onibus che ferma davanti al faro e con pochi reais ti porta fino all’aeroporto. Visto che è sempre tutto a mie spese, almeno su questo voglio decidere io.
Fa caldo. Io sono a petto nudo con i pantaloncini. La mia donna indossa l’abbigliamento sportivo che è solita portare quando viene in spiaggia. Mi parla, mi accarezza amorevolmente. Avrà gran nostalgia di me (“saudade”), le mancherò molto. Progetta di venire in Europa, in Portogallo, per incontrarci prima del mio ritorno a Salvador che ho dovuto prometterle per il prossimo autunno.
Mi confida alcuni intimi segreti riguardo il nostro rapporto. Quando la tocco, sente un fuoco, un calore attraversarla tutta e le si bagna la boceta (la fica). Parla estasiata della mia piça (il cazzo) che in realtà non si è certo comportato in modo esemplare; semmai la mia abilità sta nelle dita, nella bocca, nella fantasia.
Mi accarezza i pantaloncini, appoggia la mano sulla “zona morta” e la strofina maliziosamente. Presa dall’esaltazione, abbassa i miei slip da mare e si prende cura del mio sesso con gesti premurosi, come mamma chioccia farebbe con il suo pulcino. Già la testolina della piccola creatura fa capolino dal nido. La mia sacerdotessa pagana si piega e si genuflette in cerimoniosi riti priapei. Bacia il mio membro, la cappella, l’asta, i testicoli, l’area circostante. Muove a destra e a sinistra il prepuzio, appoggiandovi il naso: ne aspira l’odore. Va in estasi a quel particolare prefumo che è come il tabaco. Alla fine, constando che rispondo alle sue pagane adorazioni con un certo turgore, si porta con voluttà il membro in bocca e inizia a pompare. Mmmh!...recordação do Brazil. Delizioso, intrigante, inaspettato bocchino, purtroppo non sufficientemente ripagato da un completo godimento da parte mia.
Ci ricomponiamo dopo quel abbandono. Io faccio le ultime abluzioni. Ci rechiamo alla fermata dell’autobus. Bete sa che all’aeroporto vanno due tipi di bus: quelli più grandi che fanno tutte le fermate intermedie, privi di aria condizionata, e quelli più piccoli, assimilabili alle nostre navette per i collegamenti diretti fra la città e l’aeroporto. Questi ultimi hanno l’aria condizionata ma, li accomuna ai precedenti la presenza di uno scomodo meccanismo pensato per far defluire un passeggero alla volta dopo il pagamento del biglietto all’omino seduto accanto alle forche caudine. Dopo pochi minuti, arriva proprio una di queste navette. In un qualche modo riesco a passare oltre il meccanismo girevole, nonostante l’impiccio delle valige, della mia figura, non proprio sottilissima e del maneggio del borsellino. Finalmente ci sediamo sull’onibus per nulla affollato, dove si gode un bel fresco. Dai finestrini, come in un percorso turistico, rivedo i viali, l’oceano, le piazze. Passiamo anche per Pituba dove c’è il “Bambara” e lì vicino il famoso Aeroclub, molto frequentato alla sera dagli Italiani che vi si recano per rimorchiare le putas, le prostitute che pare conoscano bene la nostra lingua e combinare per la notte in albergo o nella tua casa. Io ne ho solo sentito parlare ma non ci sono mai andato; eventualmente lo terrò in considerazione per un altro viaggio.
Arriviamo a destinazione. Carico il bagaglio al check-in della Livingston per il volo Salvador-Maceio-Milano Malpensa. Non avendo particolari preferenze, mi assegnano il posto 37 A, di fianco al corridoio. Passeggiamo per l’aeroporto in attesa del mio imbarco. Bete si fa catturare dalla febbre degli acquisti. Ora le servirebbe una cintura da abbinare alla borsa e alle scarpe. Alla fine trova una cinta color oro bianco, non costosa. Pago con la carta di credito. Lei, come solito, controlla che l’importo a cui appongo la mia firma corrisponda all’effettivo prezzo dell’articolo. Strana premura! Come se i soldi fossero suoi. Finalmente mi avvio lungo la “strada senza ritorno” che porta ai cancelli d’imbarco. Baci e abbracci fin sulla soglia oltre la quale lei non può accedere.

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