Monday, September 01, 2008

Fica aqui!

Fica aqui!

Venerdì 16/03/2007- Mattina (Sexta-feira - manhã)

Copulatio matutina est bona medicina.
Più tardi riceviamo la visita della mediatrice dell’appartamento, Maria, per gli accordi riguardanti la mia partenza. Bete rimane al mio fianco senza alcun imbarazzo, perfettamente calata nel ruolo di mia rispettabile signora. Maria si complimenta con me per la distinzione e la bellezza della mia namorada. Ripete che sono un buon cliente; sottopone alla nostra attenzione alcuni bellissimi appartamenti, solo per noi due, quando io tornerò a Salvador. Non sa che Bete svolge il suo stesso lavoro, solo che Maria aloga prevalentemente nella zona del lungomare, mentre la mia nuova mulher dispone di locali più all’interno della città. Alla fine la mediatrice, come una maga Circe pronuncia con tono implorante e maliardo un’ultima frase per indurmi a restare ancora un po’: - Fica aqui! (“Rimanga qui”) per un’altra settimana! – È un invito piuttosto allettante ed esplicito, soprattutto agli orecchi di un italiano che associa il verbo ficar (= trovarsi; restare; ecc., in portoghese) con ben altro significato... Devo andare, purtroppo.
Io e Bete usciamo per un altro giretto sul lungomare. Consumiamo un hamburger con suco in quel piccolo bar dove mercoledì scorso Michelle mi aveva inflitto una bruciante umiliazione. Rientriamo. Io ho già completato le valigie; mi stendo sul letto in attesa delle 13:00, quando tornerà Maria per la riconsegna delle chiavi. Bete vuole accompagnarmi in aeroporto. Resisto ai suoi tentativi di convincermi a prendere un taxi: troppo oneroso e inutile. C’è l’onibus che ferma davanti al faro e con pochi reais ti porta fino all’aeroporto. Visto che è sempre tutto a mie spese, almeno su questo voglio decidere io.
Fa caldo. Io sono a petto nudo con i pantaloncini. La mia donna indossa l’abbigliamento sportivo che è solita portare quando viene in spiaggia. Mi parla, mi accarezza amorevolmente. Avrà gran nostalgia di me (“saudade”), le mancherò molto. Progetta di venire in Europa, in Portogallo, per incontrarci prima del mio ritorno a Salvador che ho dovuto prometterle per il prossimo autunno.
Mi confida alcuni intimi segreti riguardo il nostro rapporto. Quando la tocco, sente un fuoco, un calore attraversarla tutta e le si bagna la boceta (la fica). Parla estasiata della mia piça (il cazzo) che in realtà non si è certo comportato in modo esemplare; semmai la mia abilità sta nelle dita, nella bocca, nella fantasia.
Mi accarezza i pantaloncini, appoggia la mano sulla “zona morta” e la strofina maliziosamente. Presa dall’esaltazione, abbassa i miei slip da mare e si prende cura del mio sesso con gesti premurosi, come mamma chioccia farebbe con il suo pulcino. Già la testolina della piccola creatura fa capolino dal nido. La mia sacerdotessa pagana si piega e si genuflette in cerimoniosi riti priapei. Bacia il mio membro, la cappella, l’asta, i testicoli, l’area circostante. Muove a destra e a sinistra il prepuzio, appoggiandovi il naso: ne aspira l’odore. Va in estasi a quel particolare prefumo che è come il tabaco. Alla fine, constando che rispondo alle sue pagane adorazioni con un certo turgore, si porta con voluttà il membro in bocca e inizia a pompare. Mmmh!...recordação do Brazil. Delizioso, intrigante, inaspettato bocchino, purtroppo non sufficientemente ripagato da un completo godimento da parte mia.
Ci ricomponiamo dopo quel abbandono. Io faccio le ultime abluzioni. Ci rechiamo alla fermata dell’autobus. Bete sa che all’aeroporto vanno due tipi di bus: quelli più grandi che fanno tutte le fermate intermedie, privi di aria condizionata, e quelli più piccoli, assimilabili alle nostre navette per i collegamenti diretti fra la città e l’aeroporto. Questi ultimi hanno l’aria condizionata ma, li accomuna ai precedenti la presenza di uno scomodo meccanismo pensato per far defluire un passeggero alla volta dopo il pagamento del biglietto all’omino seduto accanto alle forche caudine. Dopo pochi minuti, arriva proprio una di queste navette. In un qualche modo riesco a passare oltre il meccanismo girevole, nonostante l’impiccio delle valige, della mia figura, non proprio sottilissima e del maneggio del borsellino. Finalmente ci sediamo sull’onibus per nulla affollato, dove si gode un bel fresco. Dai finestrini, come in un percorso turistico, rivedo i viali, l’oceano, le piazze. Passiamo anche per Pituba dove c’è il “Bambara” e lì vicino il famoso Aeroclub, molto frequentato alla sera dagli Italiani che vi si recano per rimorchiare le putas, le prostitute che pare conoscano bene la nostra lingua e combinare per la notte in albergo o nella tua casa. Io ne ho solo sentito parlare ma non ci sono mai andato; eventualmente lo terrò in considerazione per un altro viaggio.
Arriviamo a destinazione. Carico il bagaglio al check-in della Livingston per il volo Salvador-Maceio-Milano Malpensa. Non avendo particolari preferenze, mi assegnano il posto 37 A, di fianco al corridoio. Passeggiamo per l’aeroporto in attesa del mio imbarco. Bete si fa catturare dalla febbre degli acquisti. Ora le servirebbe una cintura da abbinare alla borsa e alle scarpe. Alla fine trova una cinta color oro bianco, non costosa. Pago con la carta di credito. Lei, come solito, controlla che l’importo a cui appongo la mia firma corrisponda all’effettivo prezzo dell’articolo. Strana premura! Come se i soldi fossero suoi. Finalmente mi avvio lungo la “strada senza ritorno” che porta ai cancelli d’imbarco. Baci e abbracci fin sulla soglia oltre la quale lei non può accedere.

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