Sunday, June 22, 2008

Sodo?...mah

Sodo?…mah

Domenica 11/03/2007- Mattina (Domingo - amanhã)

La mattina seguente a quella notte di sesso in cui io non avevo granché dormito per eccesso di stanchezza o per l’eccitazione non sfogata, Bete mi rivolge tenere parole d’amore, mi accarezza, mi bacia, mi dice che “eu gosto muito você” (io le piaccio molto) ma è un po’ triste perché ritiene di non piacere altrettanto a me. Si riferisce probabilmente al fatto che non sono riuscito a venire, evento che lei ha interpretato come uno scarso gradimento nei suoi riguardi. La rassicuro su questo:
– Non è colpa tua, anzi, sei una caldissima amante. Sono io ad avere dei problemi: mi sento particolarmente fiacco; ho la pressione bassa, la circolazione al minimo. Ci vorrebbe il Viagra… -.
– No, non occorre – replica – ci vuole solo un po’ di pazienza e presto tornerai in forma –.
È lì, distesa sul letto con i capelli sciolti e un po’ ondulati, il corpo rilassato e invitante, la pelle color cacao lucente e tonica: come non approfittarne? Le propongo un massaggio, rilassante per lei, eccitante per me. È in posizione supina; le salgo sopra appoggiando le ginocchia ai lati del corpo in modo che i miei genitali le accarezzino il solco della schiena e le natiche. L’uccello rialza la testa. Appoggio le mani sulle spalle della mia partner, massaggiando i deltoidi, il trapezio, i fianchi. Scendo lentamente, con voluttà, lungo la schiena, ora scivolando sulla pelle morbida come seta, ora soffermandomi per esercitare una certa pressione sulle vertebre.
Il membro vibra e oscilla in risposta ai miei movimenti, strofinandosi con libidine sul corpo della femmina, così come l’anima di legno del violino, a contatto con la tavola armonica, trasmette le vibrazioni delle corde all’intero strumento. È un’operazione piacevole che cerco di portare a termine con impegno. Mi sposto verso il basso seguendo le curve del corpo, ben rilassato e a mia completa disposizione. Evento raro, per non dire impossibile che una donna delle mie parti si abbandoni così completamente nelle tue mani, docile ai tuoi voleri, sollecita ai tuoi desideri come la mia Bete…Perlomeno, a me non è mai capitato…
Affondo le mani nella torbida fenditura tra le cosce per massaggiarle dall’interno, sfiorando maliziosamente il pube. Con molta professionalità, mi impegno a non deviare dal programma che mi ero imposto. Esercito la mia arte sul sacro, sui glutei, le gambe e i piedi.
Finalmente, è giunto il momento di spogliarmi della fredda e distaccata veste professionale – si fa per dire, giacché, al pari della mia morbida paziente, sono completamente nudo – per concedermi uno svago di reciproca soddisfazione.
Le accarezzo le natiche con gesti ampi e sempre più profondi. La vulva, verso cui scorrono le mie dita impazienti, è già umida. Introduco senza indugio l’indice e il medio e le sollevo il sedere per rendere più agevole il movimento a stantuffo. Mi abbasso per titillare con la lingua il punto di congiunzione delle grandi labbra, senza trascurare rapidi passaggi sul buchetto soprastante. La zona è perfettamente pulita e la fica gustosa e fragrante. Ormai ho scoperto che la signora gradisce la penetrazione anale, cosicché, lubrificando il piccolo pertugio con il solito sistema, mi faccio strada entro di esso lavorando a due mani: una per la vagina, l’altra per il secondo canale.
Con molta cautela, ad un primo dito che faccio rigirare nell’ano, aggiungo un secondo a dar manforte. La mia partner non si oppone a quegli esperimenti, anche perché continuo ad affondare l’altra mano nella vagina. A un certo punto, sostituisco le due dita più lunghe con il pollice, spinto energicamente, con movimento a vite, oltre lo sfintere anale, verso l’ignoto che si trova al di là delle colonne d’Ercole. Sono insaziabile. Provo ad introdurre anche il pollice della sinistra, in modo da allargare al massimo l’orifizio, ma la mia donna scuote il sedere per indicarmi che le sto chiedendo un po’ troppo.
Mi “consolo” lavorando energicamente con la destra: il pollice nel culo; l’indice e il medio, a mo’ di pinza, nella fica e le due dita rimanenti sulla la parte esterna del pube a stimolare le altre belle cose che si trovano in zona. Si tratta di una perfetta manovra di accerchiamento: il Monte di Venere, comprese le retrovie e la prima linea di trincea è presa in una morsa e alla mia mercé. Il succo, il concentrato, l’essenza della femmina è letteralmente in mano mia.
Per operare al meglio, mi appoggio alle natiche della mia ubbidiente Justine, mentre con tutte le dita della mano libera eseguo energici movimenti percussivi, rotatori, oscillatori, stringendo entro una salda presa la membrana che separa la cavità rettale da quella vaginale. È come impastare il pane. Percepisco distintamente, con il pollice in azione, il piccolo terremoto provocato dagli intrusi al piano di sotto. La posizione della mano è molto simile a quella del giocatore di bowling il quale, appunto, infila le dita negli appositi tre fori presenti sulla palla, allo scopo di controllarla, mirare e lanciare.
Mi viene da pensare con amarezza che, stante le attuali condizioni del mio birillo, posso fare strike solo con le mani. Solo l’uomo, inteso come specie, può procurare questo particolare godimento alla sua femmina, poiché, a differenza degli animali, il maschio umano è sì dotato di intelligenza, ma anche del famoso dito opponibile, il pollice, che si muove in senso opposto alle altre dita, consentendo alla mano di chiudersi a pinza e afferrare saldamente gli oggetti. Anche gli scimpanzé e le altre scimmie superiori possiedono questa caratteristica, ma non hanno delicatezza, intelligenza e altruismo a sufficienza per prodigarsi nella stimolazione erotica della propria femmina. La donna dovrebbe essere grata all’uomo per questo privilegio a lei riservato, unica fra i mammiferi, e invece è sempre scontenta a priori, alle volte addirittura disgustata e non si lascia nemmeno avvicinare; perlomeno, questa è la mia esperienza.
Il pieno possesso della mia complice sessuale sarebbe completo se, dopo tutta quella preparazione, fossi in grado di sodomizzarla, come certamente lei si aspettava a quel punto. Purtroppo, nel verbo “sodomizzare” è indicato anche il requisito fondamentale per portare a termine l’atto; cioè, è necessario che il fallo sia ben “sodo” per infilarsi agevolmente nel culo della propria amante e io non dispongo, in questo cruciale momento, di un organo all’altezza della situazione. Provo ad indicare al mio riottoso vessillo virile la via della perdizione e del peccato, così invitante, lubrica e aperta, ma non risponde ai miei comandi e tanto meno ai miei desideri, cosicché ancora una volta non se ne fa nulla.
Sono sfinito: il tour de force della notte più la performance del mattino mi hanno distrutto. Ho le palpitazioni e un senso di vuoto al basso ventre misto a nausea; ma non è fame. Non ho nessuna voglia di introdurre cibo; mi sento come sul punto di collassare o prossimo all’infarto. Dopo una doccia torno a distendermi. Bete vorrebbe che andassimo, nel pomeriggio, in un posto carino che conosce lei. Va bene, ma prima propongo un buon riposo. Si corica mansueta al mio fianco.
Alla tarde sono ancora debole; le palpitazioni si sono attenuate ma la sensazione di affaticamento non è scomparsa. Usciamo. Con il solito taxi ci portiamo verso la zona sud di Salvador. Percorriamo bellissimi viali alberati con esemplari sicuramente centenari, a giudicare dall’imponenza del tronco e della chioma. Scendiamo davanti all’Hotel Victoria Marina. Superata la hall e acquistati i biglietti, dal solarium dell’albergo prendiamo una seggiovia che dal livello stradale scende fino al mare. Dalla parte bassa della scogliera si distende un ampio pontile dove si trova un elegante locale con ristorante, bar e qualche piscinetta per i bambini. Ci sediamo ad uno dei pochi tavoli liberi che è un po’ troppo vicino alle piccole vasche: ogni tanto arrivano fastidiosi spruzzi d’acqua. È pieno di gente, come sulle nostre spiagge alla domenica. Il posto è frequentato soprattutto da giovani, ma si vedono anche numerose famiglie con i bambini, quelli appunto che giocano con l’acqua. C’è una bellissima vista sulla baia. Bete mi dice che nel gruppo delle sue amiche, tutte appartenenti alla buona società e di condizione benestante, ce n’è una che possiede un motoscafo. Una volta, con quella imbarcazione, erano andate “in gita” a Rio de Janeiro che si trova a 800-1000 km più a sud.
Io non ho fame e la mia compagna, per mia fortuna, è molto frugale riguardo all’alimentazione. Prendiamo un piatto di pesce, delicato e appetitoso, sufficiente per entrambe. Naturalmente, tutto è a mie spese. Sono uno strano gigolò: attempato, in eccesso di peso, sollecito nell’esaudire ogni capriccio della sua amante, pagando di tasca propria, e per giunta impotente…
Rientriamo con l’autobus (riesco a convincere Bete perché la distanza è breve). Salvador è ben servita da questi mezzi pubblici, che qui chiamano onibus e sono utilizzati da moltissima gente, tutti coloro che non possono permettersi né l’auto privata, né il taxi. La bicicletta sarebbe improponibile, vista l’estensione della metropoli, e il treno pare che non esista se non per il trasporto merci.

Labels:

1 Comments:

Blogger Unknown said...

Ritengo sublime questa descrizione di un momento di passione.
Davvero unica soprattutto quando descrivi i giochi con le dita.

emanu.

6:35 PM  

Post a Comment

<< Home