Verso Praia do Forte
Nella hall dell’albergo attendo l’ora della partenza. Un giornale nazionale, nel celebrare la ricorrenza, raccomanda l’uso della camizinha (il preservativo) per scongiurare l’AIDS e altre infezioni da contatto sessuale.
Arriva Mirro, un ragazzo che studia all’università e arrotonda facendo la guida turistica: è simpatico; parla portoghese e spagnolo, l’italiano molto poco. Raccoglie i pochi partecipanti alloggiati all’hotel invitandoli a prendere posto sul pullman parcheggiato in strada. Ennesima delusione: l’allegra comitiva si compone di quattro persone in tutto compreso il sottoscritto. C’è un tipo di nazionalità (argentina ?), corporatura e tratti grossolani; non bello ma socievole. Assomiglia moltissimo ad un mio amico: lo stesso naso, il corpo massiccio e la pancia. Sale anche una coppia di ragazzi di carnagione bianca, appena un po’ colorata. Probabilmente sono turisti di un altro stato del Brasile. Lei ha i capelli scuri e l’aria soddisfatta; “morbidosa”, non alta, sorride spesso e dolcemente. Per quanto buoni i miei compagni di viaggio sono troppo pochi. Per fortuna il pullman si ferma a raccogliere altre persone in un paio di alberghi della zona. Sfortunatamente, sono quasi tutti uomini. Salgono due ragazzi poi una strana “coppia” maschile: un tipo eccentrico, magro ma stagionato, apparentemente quasi sessantenne; i capelli sale e pepe raccolti dietro, a coda di cavallo; un paio di baffetti nerissimi, arricciati all’insù, tipo “Salvador Dalì”; braccialetti, un orecchino e un anello alla mano sinistra. Lo accompagna un giovane sui 35 anni, apparentemente “normale”, ma con un cappello a larga tesa che copre un’incipiente calvizie: che sia la sua checca? A parte l’eccentricità dell’abitus, nessuno dei due dà segni di dichiarata omosessualità. Si siedono nella fila di sedili davanti a me: posso osservare bene la loro nuca. Nel corso della giornata, il più anziano dei due si mostrerà molto socievole.
Il pullman prosegue verso nord, sulla lunga arteria che costeggia l’oceano. Ad un certo punto, alcuni chilometri oltre Salvador, pieghiamo verso est, in un’area costiera molto suggestiva dove si trovano villaggi turistici, residence e ville circondate da una lussureggiante flora tropicale. Entriamo in una di queste strutture, un luogo incantevole immerso nel verde che risponde al nome di Catussaba Resort Hotel, per raccogliere altri viaggiatori.
Giardino dell’hotel:
Improvvisamente, da quel angolo di paradiso spunta una creatura celestiale. Sale un giovane con una borsa sportiva; dietro di lui la sua ragazza, una gnoccona da favola: alta, slanciata, ben tornita; la pelle leggermente scura con riflessi d’ambra, un vestitino nero di cotone, generosamente assente nei punti giusti, con scollatura a “V” e gambe scoperte fino a mezza coscia. Capelli neri, andatura da gazzella, un intrigante sorriso e uno sguardo innocentemente sensuale che mi provoca un totale sbandamento. Ho un tuffo al cuore, come lanciarsi dal trampolino, a testa in giù, in una piscina senz’acqua. Quanto mi turbano, quanto mi fanno soffrire queste incantevoli visioni! A certi fortunati tutto, ad altri niente! La coppia si isola un po’ dal gruppetto dei gitanti collocandosi qualche fila più indietro.
Incontri come questi, considerati dai più come piacevoli ed eccitanti, a me procurano amarezza, sconforto, invidia, scorno e una paralizzante sensazione di inadeguatezza che mi rovina la giornata. È un male antico e cronico, incancrenitosi con gli anni. Gli altri maschi, “quei” maschi che sono stati scelti da tali meravigliose creature, sono esseri superiori, sono divinità, godono di una condizione paradisiaca e privilegiata, vivono in un Eden da cui io sono stato escluso per sempre. Mi sento un eunuco nell’harem di un gran sultano. Con femmine così belle e inarrivabili, tutte le mie insicurezze, ben celate entro una rigida armatura, riemergono feroci, straziandomi il cuore: mi afferrano alla gola, mi fanno tremare i polsi e le ginocchia. Mi sento impedito, ridicolo, repellente, come lo schifoso insetto della Metamorfosi di Kafka. Il mio crudele destino è dunque quello di dover reggere il moccolo in eterno, come un venditore di noccioline al cinema o un portiere di un albergo a ore, costretti a lavorare dove gli altri si divertono?
Non ci potrà mai essere felicità per me perché io non possiedo, non posso avere, non mi è consentito neppure sognare una ragazza come quella. E se la felicità non è possibile – poiché impossibile è la soddisfazione del desiderio e la corrispondenza d’amore – allora anche Dio non può esistere, perché se esistesse sarebbe un Grande Sadico, un essere tremendo, spietato e crudele che, a suo capriccio, concede ad alcuni la propria benevolenza, ad altri preclude ogni possibile gioia. È per questo che spesso, nella Bibbia, si instilla la paura di Dio e il senso di colpa nel piccolo uomo, inducendolo al “timor di Dio”.
Interrompo qui le mie eretiche riflessioni che mi fanno sentire sempre diverso. Alla gente comune la visione di una bella donna procura piacere; a me scatena la depressione e una ridda di pensieri nichilisti e blasfemi.
Il viaggio prosegue, incurante della mia disperazione. La costa a nord di Salvador, dopo l’aeroporto internazionale, è ricca di palme e di una lussureggiante vegetazione tipicamente tropicale. Facciamo tappa in un posto suggestivo e romantico: una laguna circondata da bianche dune, chiamata Lagoa de Abaeté.
Scendiamo dal pullman per le classiche foto, l’acquisto di souvenir e una breve passeggiata lungo il perimetro del bacino. La bella coppia ultima arrivata se ne sta per conto suo.
Labels: Vacanze
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