Friday, October 19, 2007

Sesso a pagamento III

La schiavitù della donna e la tratta delle bianche


Tipica preoccupazione e slogan ossessivo di Don Benzi, il fondatore della Associazione "Giovanni XXIII", colui che ha a cuore il destino delle schiave del sesso e che da una vita si batte strenuamente per la loro salvezza e liberazione, anche comparendo nel salotto di Vespa e organizzando spedizioni lungo le strade, di notte, per strappare le poverette dal circuito della prostituzione.
Da un vocabolario Zingarelli che mi trovo in casa (10ª ediz. 1970) ricavo la seguente definizione:
Schiavo è colui che è totalmente privo della libertà individuale”; ma anche chi “soffre soggezione, padronanza e simili che vincolano o impediscono in parte o completamente la sua libertà”…
A me sembra una perfetta definizione del lavoratore dipendente.
In realtà, basandomi sulla mia modesta esperienza e occasionale frequentazione delle prostitute da strada, non ho mai colto nei loro comportamenti lo stress, la paura di chi subisce una costrizione sotto la minaccia di ritorsioni, violenza fisica o morale, di chi è oggetto di ricatti o sopraffazioni. Da una statistica recuperata su Internet, pare che solo il 20% delle “lucciole” (che a sua volta è una porzione ridotta del vasto mondo della prostituzione) sia in qualche modo costretto a “vendersi”; le altre lo fanno spontaneamente perché è un sistema molto rapido per far soldi. Ora le rumene, comunitarie a tutti gli effetti, che prima venivano in Italia per trovare un posto come badanti – se erano fortunate – ora, in appena sei mesi di “campagna” sulle strade, raccolgono i soldi sufficienti per comprarsi una casa in Romania.


Montagne di frustrazioni e di stress sono invece tipiche del lavoratore dipendente, uomo o donna che sia. In questo spaventoso girone infernale – quello della prestazione d’opera, dove si consumano energie, tempo e anni di vita in cambio di un misero salario -, dove gli esseri umani sono costretti a compiere atti contro natura - quelli appunto inerenti il lavoro che è una tipica invenzione dell’uomo - per procurarsi il cibo, i mezzi di sopravvivenza e l’approvazione del sistema sociale, ci sono i più diffusi casi di mobbing, di vessazioni da parte del datore di lavoro, profondo malcontento, disagi relazionali, paura dei superiori e del licenziamento, invidia devastante per il collega d’ufficio, più o meno leccaculo, che guadagna promozioni o privilegi ovviamente immeritati; ci sono litigi e livori. E tutte queste frustrazioni e tormenti mal sopportati, minano la salute e l’autostima dell’individuo; rodono dal di dentro il soggetto che non può ribellarsi perché non ne ha il coraggio, né può andarsene via o cambiare lavoro, essendo già “fortunato” di questi tempi, ad averne uno, anche se questo gli avvelena la vita a poco a poco.

Potendo scegliere, è dunque preferibile la schiavitù del lavoro o quella del sesso a pagamento?


E per ciò che riguarda la tratta delle bianche, non sono troppo convinto che le ragazze dell’Est siano così ingenue e sprovvedute da non sapere che lavoro andranno a fare venendo in Italia o in Europa. La voglia di uscire dalla loro condizione e da un Paese senza futuro, l’ambizione, il desiderio di emergere, la cupidigia per il denaro “facile”, la smania di emulare le più fortunate donne europee e comprarsi capi firmati ed oggetti di lusso, credo siano le motivazioni principali che spingono queste ragazze a tentare la fortuna qui da noi, dove vengono a contatto con le organizzazioni clandestine che operano nell’illegalità – non potendolo fare alla luce del sole – inevitabilmente gestite da personaggi equivoci legati agli ambienti del crimine.

Del resto, se ci sono dei disperati magrebini che per trovare un lavoro qualsiasi fuggono dall’Africa, a rischio della vita, e versano ai cosiddetti “scafisti” tutto il denaro che hanno potuto raccogliere in anni di stenti per pagarsi il trasbordo illegale in Italia – quello che potrebbe anche essere il loro primo ed ultimo viaggio -, al confronto le ragazze slave che sono indotte a valicare le Alpi richiamate dai facili guadagni, possono ritenersi fortunate di aver avuto un trattamento così di riguardo dal racket.
A mio modesto avviso, le “schiave bianche”, ammesso che esistano, calano nel nostro Paese pienamente coscienti e con le idee piuttosto chiare riguardo ciò che intendono fare, e lo dimostra il fatto che due grandi città “cerniera” fra Est e Ovest europeo, Praga e Budapest, si siano trasformate in due grandi capitali del porno, dove si concentrano studi cinematografici, case di produzione, registi, attori e starlette di questo fiorente settore. Molti film a luci rosse sono girati sui set praghesi, e nella città bagnata dalla Moldava esistono anche un mucchio di locali di intrattenimento erotico. Tutta l’industria del porno utilizza il naturale “vivaio” di belle ragazze costituito dai vicini paesi di lingua slava: le giovani avventuriere affluiscono spontaneamente, decise a “sfondare” (e a “farsi sfondare”…) in questo particolare genere cinematografico. Non a caso il nostro pornodivo Rocco Siffredi ha aperto a Praga una sua casa di produzione e si è scelta come compagna una bella ungherese.


Tornando al problema dello sfruttamento della prostituzione, è ovvio che il racket operi per il proprio tornaconto senza farsi troppi scrupoli, ma quello che oggi è un pappone o un magnaccia che gestisce illegalmente gli affari della propria “scuderia”, un domani, qualora, come è auspicabile, la prostituzione potesse essere liberamente esercitata e organizzata al pari di qualunque altra attività professionale sottoposta alle leggi del mercato, i sordidi personaggi di cui sopra, cederebbero il posto a uomini d’affari, mediatori, intermediari, manager, referenti che coordinerebbero il lavoro delle ragazze, selezionando i clienti, fissando gli appuntamenti, promuovendo la pubblicità, affittando gli appartamenti, allestendo strutture adeguate allo scopo, fissando i prezzi delle prestazioni in regime di libera concorrenza, come ogni attività commerciale.
Così la prostituzione sfuggirebbe al controllo della mafia, uscendo dall’ombra della clandestinità e del malaffare; le “operatrici” del settore potrebbero essere meglio seguite dal punto di vista sanitario e finalmente tutto questo ricco mercato sarebbe tassabile, costituendo un notevole introito per le casse dello Stato. A quel punto la prostituzione giovanile, la pedofilia, lo sfruttamento delle irregolari e delle clandestine verrebbe notevolmente ridotto perché isolato e facilmente controllabile dagli organi di polizia, le cui energie sarebbero concentrate sulla vera attività criminosa.
Le donne che decidessero di venire nel nostro Paese per prostituirsi, avrebbero la loro regolare carta di soggiorno come un qualunque altro extracomunitario chiamato in Italia dal datore di lavoro. Finalmente non si potrebbe più parlare di “tratta delle bianche”, che farebbero il loro mestiere per libera scelta, e le “schiave del sesso” diventerebbero delle moderne ed emancipate “professioniste del sesso”.


Ma ovviamente in questo nostro Paese, represso e bigotto, tutto ciò non accadrà mai e Don Benzi, così come i politici e gli amministratori più ipocriti e conservatori, potranno continuare le loro crociate per ripulire le strade dall’immonda sozzura delle donne che vendono il loro corpo, magari colpendo i loro clienti, questi sì, veri schiavi del sesso – costretti dai loro vergognosi istinti a dover pagare una femmina per avere l’illusione di possederne una, anche solo per qualche minuto -, perseguitati e minacciati nella loro misera ricerca del piacere da quei sindaci o questori che ogni tanto si inventano sanzioni per farli desistere dal deprecabile “vizio” che alimenta lo sporco mercato.

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