Timidi contatti
Ho avuto una notte agitata: non riuscivo a dormire; forse per l’eccessiva porzione di frago o per la salsina piccantissima che lo accompagnava, sono stato indotto ad andare più volte in bagno. Anche la caffeina contenuta nella coca che avevo bevuto, ha contribuito a tenermi insonne. Mi alzo. E’ la prima mattina in cui la conquistata autonomia mi obbliga ad arrangiarmi con la colazione. Esco in cerca di un caffè e una pasta, come nella tradizione italiana. Nella terra del caffè, non ho trovato i locali appropriati per questo tipo di consumazione. Alla fine mi accontento di un café com leite (che arriva già zuccherato) con uno scadente dolciume confezionato: l’unica cosa commestibile del bar che ero riuscito a trovare.
Torno in camera, mi preparo per la spiaggia e vado alla barraca dei miei amici. Ritrovo Gabriela e Jay che ha saputo della mia difficoltà a far salire in camera la ragazza.
- Ora ho un appartamentino tutto mio – gli dico.
La giornata procede con il solito standard. Ogni tanto Gabriela viene al mio sombrero, per “chiacchierare” e bere un po’ di birra.
- Vivi con tua mãe? – le chiedo durante una delle soste.
- Si.
- Lavora il tuo ex marito?
- Si, è strumentista di sala operatoria all’hospital.
Dunque è un infermiere o un paramedico che dovrebbe avere un certo reddito. Sono un po’ stupito: se lui lavora ed ha una certa istruzione, come mai si sono lasciati?
- E’ lui che ti ha lasciata? – domando.
- No è stata una mia decisione.
- E come mai?
- …Muitas mulheras.
“Troppe donne”. Insomma è un donnaiolo. Ma allora la pretesa della fedeltà c’è anche qui ed è più forte della convenienza economica!… Gabriela avrebbe potuto chiudere un occhio sulle scappatelle del marito, considerando anche le esigenze del bambino: lei non lavora e sembra che neppure percepisca gli alimenti.
Fissiamo l’incontro per le 7 di sera.
Verso le 16 lascio la spiaggia: la particolare conformazione della costa a nord del promontorio fa sì che a quell’ora il sole si trovi dietro il profilo del lungomare. L’ombra crescente della città sovrasta la stretta linea costiera, mentre la brezza di mare agita la sabbia e monta la marea; ondate un po’ più intense arrivano a lambire gli ombrelloni e le sedie.
Mi preparo per la notte brava. La faccenda si è trascinata così a lungo da superare il punto di non ritorno: il necessario compimento è ormai una questione di principio se non proprio di orgoglio virile.
Voci illusorie e ingannevoli raccontano che la ragazza brasiliana, oltre ad offrirsi fin sulla spiaggia (mito di cui ho constatato di persona tutta la falsità) fa l’amore con te accontentandosi della cena e/o di qualche regalino che tu sei tenuto a donarle; al massimo, in uno slancio di generosità, le paghi anche il taxi per tornare a casa… Forse questo accadeva al tempo di Amerigo Vespucci o dei colonizzatori portoghesi: è un luogo comune, una leggenda ingannevole e obsoleta come quella secondo cui ai primi esploratori di terre esotiche bastava dare ninnoli lucenti senza valore agli indigeni per riceverne in cambio oro. Io ho elargito da bere per tre (Jean, Gabriela ed io), offerto la cena alle due squinzie e pagato anche il loro “struscio” o lo shopping sotto forma di denaro per il taxi, e mi ritrovo ancora con un pugno di mosche. Ci sono concrete possibilità che anche questa serata possa concludersi con l’ennesima fregatura: cena (delle beffe…) e poi tanti saluti.
Anche perché il mio apparato riproduttore, che già ha un funzionamento precario in condizioni normali, dopo un pasto anche non abbondante è pressoché inservibile: tutto il sangue disponibile è impegnato nella digestione. Devo cercare di fazer o amor (ammesso che si dica così) prima della cena.
Arriva l’ora della verità.
Gabriela appare dal nulla nel piccolo parcheggio di fronte al faro. Sta guardando in un’altra direzione. Mi cerca con gli occhi. La chiamo andandole incontro. Al posto della solita maglietta e pantaloncini della spiaggia, indossa un vestitino intero. I capelli neri sono raccolti da una cordicella. Il semplice abito intero, di un bel azzurro turchese, fa risaltare la carnagione scura, lucida e con riflessi ocra. Porta orecchini di metallo lucente e una collana di artigianato locale a sferette nere.
Saliamo nell’appartamento. La faccio accomodare al tavolo: mi sembra a suo agio. Mentre stappo una bottiglia di birra, che faccio scegliere a lei (preferisce quella al doppio malto), si toglie le scarpe, un paio di calzature con la suola di sughero; piccole, senza pretese ma eleganti.
Beviamo in silenzio. Siamo entrambe tesi: coscienti di quel che deve succedere ma troppo timidi per farlo accadere. Alla fine, prendo il coraggio a due mani e la guido gentilmente verso la camera da letto, “per fare l’amor “.
Siamo in piedi, di fronte alla finestra. La bacio delicatamente sul collo: non si ritrae ma nemmeno la trovo entusiasta.
[continua]
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