Saturday, August 23, 2008

Brasile, terra del futuro


Brasile, terra del futuro

Giovedì 15/03/2007 - Pomeriggio (Quinta-feira - tarde)

Verso le 16 ci avviamo a braccetto verso la mia casa. In uno slargo dell’avenida, proprio di fronte all’oceano, il mio sguardo cade distrattamente sulla scritta apposta alla base di un cippo che sorregge il busto in marmo nero di un signore baffuto. Ero passato di lì diverse volte senza mai soffermarmi ad osservare: ritenevo fosse un banale monumento commemorativo di qualche celebrità locale.


Ed invece la lettura della targa rivela che il personaggio raffigurato è Stefan Zweig, scrittore viennese di origine ebrea, fra i maggiori della letteratura austriaca del ‘900. Ai più questo nome non dice nulla, e anch’io sono alquanto ignorante in proposito, ma, dato il mio interesse per la musica, l’intellettuale viennese non mi era sconosciuto. È l’autore del testo de: La donna silenziosa, opera tarda di Richard Strauss commissionata a Zweig dopo che il compositore bavarese era rimasto senza il suo “librettista” di fiducia prematuramente scomparso, il grande drammaturgo austriaco Hugo von Hofmannsthal. L’iscrizione sotto il busto ricorda che Zweig era approdato in terra brasiliana durante l’ultimo conflitto, rimanendo a tal punto affascinato da quei luoghi e da quella gente da comporre un libro elogiativo: Brasile, terra del futuro.
Al ritorno dal mio viaggio mi sono documentato su questa strana figura di intellettuale che aveva denunciato le follie della guerra già al tempo della I Guerra Mondiale e in seguito, a causa delle leggi razziali introdotte da Hitler dopo l’annessione dell’Austria, fu costretto a sradicarsi dalla propria terra, dalla cerchia colta e raffinata degli scrittori e letterati, fuggire dalla cara Europa devastata dal nuovo conflitto e riparare in America. Zweig si era rifugiato in Brasile, privo delle agiatezze economiche, dei libri, dei riferimenti e dei legami culturali che aveva stretto in patria, stabilendosi con la seconda moglie in un paese a 65 km da Rio de Janeiro. Dopo l’entusiasmo iniziale - che lo aveva indotto a profetizzare un radioso futuro per la nazione dove si era insediato - la mancanza di stimoli culturali e letterari, la sensazione di isolamento e di estraneità al mondo giovane e vitale - ma culturalmente molto diverso rispetto alla tradizione europea - in cui si trovava, nonché le cattive notizie riguardo l’andamento della guerra, evidentemente lo fecero cadere in depressione e nel 1942 decise di togliersi la vita insieme con la moglie. Ironia della sorte, “il Paese del futuro” e della speranza fu anche il medesimo in cui aveva maturato tragicamente l’idea che per lui non poteva più esserci futuro: Il mondo di ieri” – come significativamente aveva intitolato la sua autobiografia – gli sembrava perso per sempre sotto l’avanzare delle truppe del III Reich.
Ho riportato queste riflessioni “postume” rispetto agli accadimenti del mio viaggio in quanto, informandomi sul triste epilogo dell’esistenza di Zweig, non ho potuto non rilevare alcune corrispondenze con la mia avventura in Brasile. Pure io, al primo impatto con questo Paese dalle grandi promesse, su cui avevo ingenuamente riposto le mie ultime speranze di un riscatto erotico-sentimentale, ho avuto ben più che uno sbandamento iniziale: solo lentamente e per caso questa terra mi ha fatto scoprire qualche suo tesoro. Nella prima settimana ho rischiato di soccombere alla solitudine, ai sensi di colpa, alla disillusione.

Quando siamo nel mio appartamento, entro in doccia e mi aspetto che Bete faccia altrettanto, ma lei vuole trascorrere il resto del pomeriggio allo Shopping Barra, il centro commerciale che rappresenta evidentemente l’approdo del consumismo di classe a Salvador. Fare acquisti in quel luogo, magari elegantemente vestiti, è indice di distinzione, di agiatezza, di appartenenza ad uno status.
In taxi raggiungiamo l’appartamento di Bete, un bilocale non più grande del mio, facente parte di un palazzone-condominio con diversi piani. Nella zona notte non c’è un letto a due piazze ma un mobile a castello, non certo indicato per fare l’amore. Bete al momento è sola: il figlio minore è ospite della fidanzata, il figlio maggiore si trova in un altro stato del Brasile per motivi di lavoro. L’appartamentino in città serve come “foresteria”; solo di rado la mamma e i due figli lo occupano contemporaneamente.
Bete fa la doccia e si veste in modo sportivo ed elegante per uscire con il suo uomo. Per lei è una seconda giovinezza; per me… è la prima, quella che non ho mai avuto. Ma purtroppo l’amore si gusta quando hai 20 anni e non 54: a questa età il palato non distingue più il sapore del miele, si è indurito e semiatrofizzato, e nel dolce percepisce comunque un retrogusto amaro. La mia compagna sorride divertita quando mi descrivo con la battuta: “Dino Flor e le sue due mogli”. Aveva già capito che le avevo detto una bugia parlando della mia presunta separazione e bonariamente mi rimprovera.

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