Thursday, July 31, 2008

L'uccello e Michelle

L’uccello e Michelle

Martedì 13/03/2007 (Terça-feira)

Alla mattina, per la prima volta, sento conversare in una lingua a me nota. In prossimità del mio sombrero, un gruppo di italiani di età apparente fra i 35 e i 40 anni si scambia informazioni; sono amici, di Bologna o di Modena, arrivati il giorno prima. Spuntano i turisti italiani quando per me, ormai, i giochi sono fatti ed è ora di andar via; venerdì riprenderò l’aereo per Milano. Ascolto un po’ i loro discorsi: ovviamente si consultano sulle mosse da fare, i locali da frequentare, le strategie più opportune per avvicinare le ragazze del posto. Io non mi faccio coinvolgere dalla conversazione: confermo la musoneria, la stronzaggine, la mancanza di comunicativa dei ferraresi. In realtà le persone, i gruppi mi mettono a disagio. Quando ero giovanissimo mi sentivo un brutto anatroccolo, represso e antiquato; ora che sono un uomo maturo, anche troppo maturo, mi trovo comunque sfasato rispetto agli altri: un matusalemme con l’esperienza di un adolescente. Ad ogni modo, sono già “accasato” e neppure qui, in terra brasiliana, mi sento padrone della mia vita e delle mie scelte. Il brutto anatroccolo si è infine trasformato in un meraviglioso cigno, ma solo per intonare l’ultimo canto.
A metà mattina scende in spiaggia anche Bete. La praia comincia ad animarsi. Un ragazzo di Salvador che dimostra meno di 18 anni, si fa notare per la chiassosa cordialità e la caotica allegria con cui irrompe sul manipolo di italiani. Scherza rumorosamente, scoppia in fragorose risate, tira fuori a gran voce tutto il suo repertorio di parolacce e battute che ha imparato nella nostra lingua; aggiunge frasi in romanesco, un po’ da stadio un po’ da caserma. Intona a squarciagola la cantilena: “O-la-lì, o-la-là!...Faccela senti’, faccela tocca’!… Si agita passando da un sombrero all’altro. Con me sgrana teatralmente gli occhi e viene ad accarezzarmi la pancia come si fa con le donne incinte. È spiritoso ma invadente. Tuttavia sembra innocuo e penso che faccia l’amicone senza altri fini che tirar su qualche soldo dai turisti, ma Bete mi mette in guardia: dice di non dargli troppa corda perché potrebbe fregarmi in qualche modo.
Alcuni metri più in là, rivedo la coppia formata dal macho locale che parla inglese e la ragazza europea: ora sono più affiatati; evidentemente hanno fatto sesso. Non c’è niente di meglio che fare l’amore per sciogliersi ed essere più spontaneo e comunicativo con una donna. Il guaio è che nella lunga fase di corteggiamento, quando assumi comportamenti innaturali e ti senti sempre sotto esame, dai il peggio di te stesso e sei scartato molto prima di arrivare alla liberatoria esperienza erotica... almeno a me capita così. Come posso esprimere al meglio le mie capacità seduttive ed essere rilassato, brillante, sensuale se mi sento come in prima linea, esposto al tiro nemico, osservato, studiato e criticato per i miei goffi approcci e colei che osserva e valuta ha in mano la mia felicità ed è arbitro del mio destino?
Nel pomeriggio Bete ha qualche appuntamento con clienti e mi lascia da solo. Siamo d’accordo di rivederci in serata.
Rimango a leggere e ad oziare in spiaggia. Chiudo gli occhi per fare un po’ di rilassamento, applicando una tecnica basata su immagini mentali. Improvvisamente, qualcosa di duro e appuntito mi colpisce il piede; ho un sobbalzo, più per la sorpresa che per la puntura. Un piccione si era silenziosamente avvicinato al mio piede e, come per saggiare se era qualcosa di commestibile, mi aveva dato quella beccata. Caccio via l’importuno agitando la gamba e riprendo i miei esercizi mentali. Di nuovo un altro colpetto con il becco sui miei piedi nudi i quali evidentemente emanano un odore di salmastro o di sostanza organica in disfacimento che risulta gradito proprio a quel cocciuto volatile: …de gustibus… Lo allontano ancora e mi rimetto disteso, ma con gli occhi aperti per osservare i movimenti. L’uccello mette in atto una manovra diversiva zampettando qua e là, non troppo distante dal suo obiettivo: se chiudessi gli occhi certamente verrebbe di nuovo a beccarmi. Afferro una ciabatta da mare e la getto verso il pennuto che svolazza via senza allontanarsi troppo. Provo a rilassarmi ma ormai sono deconcentrato. Il colombaccio si aggira ancora in zona. Gli lancio anche la seconda ciabatta a mo’ di avvertimento, poi mi alzo per andare a riprendere le mie armi. Mi accorgo da un certo rumoreggiare che sono osservato; i “ragazzi del muretto”, i giovani venditori che stazionano con la loro merce sul parapetto che separa la spiaggia dal viale soprastante, si erano accorti di quella scenetta comica e sghignazzavano godendosi lo spettacolo.
Dopo la mia seconda offensiva, l’epica lotta con il volatile sembra conclusa: il mio avversario si è dato per vinto o ha deciso che i miei piedi non sono appetitosi e neppure commestibili e si è allontanato. Mi distendo e abbasso le palpebre. Qualche secondo dopo, sento provenire dal muretto grida concitate, come di “Allarmi! Allarmi!" o "Attenti al lupo!”, per mettermi in guardia da un ennesimo attacco del nemico. Apro gli occhi guardandomi d’attorno, ma è un falso allarme, una burla dei ragazzi che avrebbero voluto assistere ad un secondo tempo della rappresentazione, divertendosi a mie spese.
Indugio ancora qualche tempo, poi raccolgo le mie cose e mi avvio verso l’alloggio.

Prima di cena, ho l’abitudine di controllare la posta elettronica e accedere a Internet in uno dei punti telefonici che forniscono questo servizio: qui a Salvador sono piuttosto diffusi e sparsi un po’ ovunque. Vicino al farol c’è un barettino che vende schede telefoniche e mette a disposizione una mezza dozzina di computer per i propri clienti: giovani e giovanissimi del circondario, privi del collegamento a casa, e turisti come me che invece delle cartoline inviano e-mail. Dopo qualche decina di minuti di navigazione, mi accingo a tornare al vicino appartamento, ma un forte temporale, scoppiato all’improvviso, mi trattiene in prossimità dell’uscita del locale. Siedo ed aspetto che la pioggia cali di intensità. Di fronte a me due ragazze, in piedi, attendono per lo stesso motivo. Una è molto graziosa. Bionda, di carnagione chiara, come un’europea, parlotta con l’amica che è invece di pelle scura, più giovane, con il viso ancora da bambina e i tratti somatici della mulatta. La bionda, che dimostra circa 25 anni, ha l’aria più smaliziata: ogni tanto volge lo sguardo verso di me, sembra quasi un invito. È la classica situazione descritta nei manuali che insegnano ad interpretare il linguaggio del corpo. Quando la femmina vuole attrarre l’attenzione del maschio, affinché questi si faccia avanti, volge rapidamente gli occhi verso di lui, spesso di sottecchi, soffermandosi qualche attimo in più rispetto ad un normale sguardo, e ripetendo due o tre volte l’invito non verbale. Le donne ferraresi, però, sembrano costituire una sciagurata eccezione a questa regola ed è anche per questo che io sono sempre in dubbio sulla corretta interpretazione dei segni. Improvviso una forma di approccio:
Desculpe, posso convitar vocês a beber uma cerveja comigo? (Posso invitarvi a bere una birra?).
La ragazza carina, risponde qualcosa che non comprendo, comunque mi fa capire che sul momento non può, ma è disponibile a proseguire la conoscenza.
Sou italiano. No falo portugês – (Non parlo il portoghese). Lei, nella mia lingua, risponde che aveva intenzione di iscriversi proprio ad un corso di italiano perché suo padre è originario di Bologna.
– Allora possiamo tenerci in contatto via Internet, io per far pratica di portoghese e tu di italiano, anche se già lo parli molto bene –. Cerco di agganciarla almeno per questo perché la mia vacanza è agli sgoccioli; le occasioni interessanti capitano sempre quando ti sei ambientato ed è già ora di andar via.
– Fra tre giorni devo ripartire – aggiungo.
Ha un’aria visibilmente delusa, comunque mi dà il suo numero di telefono per tenerci in contatto e ci presentiamo. Ha un nome bellissimo e musicale: Michelle.
– Allora, Michelle, ci sentiamo per domani –.
– Si, chiamami domani –.

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