Monday, June 25, 2007

Timidi contatti

Sabato 03/03/2007 (Sabado)


Ho avuto una notte agitata: non riuscivo a dormire; forse per l’eccessiva porzione di frago o per la salsina piccantissima che lo accompagnava, sono stato indotto ad andare più volte in bagno. Anche la caffeina contenuta nella coca che avevo bevuto, ha contribuito a tenermi insonne. Mi alzo. E’ la prima mattina in cui la conquistata autonomia mi obbliga ad arrangiarmi con la colazione. Esco in cerca di un caffè e una pasta, come nella tradizione italiana. Nella terra del caffè, non ho trovato i locali appropriati per questo tipo di consumazione. Alla fine mi accontento di un café com leite (che arriva già zuccherato) con uno scadente dolciume confezionato: l’unica cosa commestibile del bar che ero riuscito a trovare.
Torno in camera, mi preparo per la spiaggia e vado alla barraca dei miei amici. Ritrovo Gabriela e Jay che ha saputo della mia difficoltà a far salire in camera la ragazza.

- Ora ho un appartamentino tutto mio – gli dico.

Subito mi propone di utilizzarlo insieme per “scopare”. Domani ci sarà una festa lì al faro. Sarebbe venuta anche Carla, quella ragazza che mi aveva proposto il primo giorno. Tutti insieme ci si poteva poi divertire nel mio alloggio. Diffido. Non credo in questi facili godimenti. E poi non voglio portarmi in casa persone non gradite, se non l’unica ragazza con cui provare a combinare qualcosa.
La giornata procede con il solito standard. Ogni tanto Gabriela viene al mio sombrero, per “chiacchierare” e bere un po’ di birra.

- Vivi con tua mãe? – le chiedo durante una delle soste.
- Si.


Gabriela sta in casa con la madre, anch’essa separata, il bambino che ha quasi 3 anni e le sorelle.

- Lavora il tuo ex marito?
- Si, è strumentista di sala operatoria all’hospital.


Dunque è un infermiere o un paramedico che dovrebbe avere un certo reddito. Sono un po’ stupito: se lui lavora ed ha una certa istruzione, come mai si sono lasciati?


- E’ lui che ti ha lasciata? – domando.
- No è stata una mia decisione.
- E come mai?
- …Muitas mulheras.


“Troppe donne”. Insomma è un donnaiolo. Ma allora la pretesa della fedeltà c’è anche qui ed è più forte della convenienza economica!… Gabriela avrebbe potuto chiudere un occhio sulle scappatelle del marito, considerando anche le esigenze del bambino: lei non lavora e sembra che neppure percepisca gli alimenti.
Fissiamo l’incontro per le 7 di sera.

Verso le 16 lascio la spiaggia: la particolare conformazione della costa a nord del promontorio fa sì che a quell’ora il sole si trovi dietro il profilo del lungomare. L’ombra crescente della città sovrasta la stretta linea costiera, mentre la brezza di mare agita la sabbia e monta la marea; ondate un po’ più intense arrivano a lambire gli ombrelloni e le sedie.
Mi preparo per la notte brava. La faccenda si è trascinata così a lungo da superare il punto di non ritorno: il necessario compimento è ormai una questione di principio se non proprio di orgoglio virile.
Voci illusorie e ingannevoli raccontano che la ragazza brasiliana, oltre ad offrirsi fin sulla spiaggia (mito di cui ho constatato di persona tutta la falsità) fa l’amore con te accontentandosi della cena e/o di qualche regalino che tu sei tenuto a donarle; al massimo, in uno slancio di generosità, le paghi anche il taxi per tornare a casa… Forse questo accadeva al tempo di Amerigo Vespucci o dei colonizzatori portoghesi: è un luogo comune, una leggenda ingannevole e obsoleta come quella secondo cui ai primi esploratori di terre esotiche bastava dare ninnoli lucenti senza valore agli indigeni per riceverne in cambio oro. Io ho elargito da bere per tre (Jean, Gabriela ed io), offerto la cena alle due squinzie e pagato anche il loro “struscio” o lo shopping sotto forma di denaro per il taxi, e mi ritrovo ancora con un pugno di mosche. Ci sono concrete possibilità che anche questa serata possa concludersi con l’ennesima fregatura: cena (delle beffe…) e poi tanti saluti.
Anche perché il mio apparato riproduttore, che già ha un funzionamento precario in condizioni normali, dopo un pasto anche non abbondante è pressoché inservibile: tutto il sangue disponibile è impegnato nella digestione. Devo cercare di fazer o amor (ammesso che si dica così) prima della cena.
Arriva l’ora della verità.

Gabriela appare dal nulla nel piccolo parcheggio di fronte al faro. Sta guardando in un’altra direzione. Mi cerca con gli occhi. La chiamo andandole incontro. Al posto della solita maglietta e pantaloncini della spiaggia, indossa un vestitino intero. I capelli neri sono raccolti da una cordicella. Il semplice abito intero, di un bel azzurro turchese, fa risaltare la carnagione scura, lucida e con riflessi ocra. Porta orecchini di metallo lucente e una collana di artigianato locale a sferette nere.

- Vieni su da me a bere un po’ di cerveja? – le chiedo baciandola sulla guancia. Accetta senza difficoltà.




Saliamo nell’appartamento. La faccio accomodare al tavolo: mi sembra a suo agio. Mentre stappo una bottiglia di birra, che faccio scegliere a lei (preferisce quella al doppio malto), si toglie le scarpe, un paio di calzature con la suola di sughero; piccole, senza pretese ma eleganti.
Beviamo in silenzio. Siamo entrambe tesi: coscienti di quel che deve succedere ma troppo timidi per farlo accadere. Alla fine, prendo il coraggio a due mani e la guido gentilmente verso la camera da letto, “per fare l’amor “.
Siamo in piedi, di fronte alla finestra. La bacio delicatamente sul collo: non si ritrae ma nemmeno la trovo entusiasta.



[continua]

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Saturday, June 16, 2007

Transferência

Venerdì 02/03/2007 (Sexta-feira)

Questa mattina, la distaccata e professionale ragazza della sala colazione, quando io, conformandomi alla sua freddezza, accenno un sobrio “Bom dia!”, si scioglie inaspettatamente in un amichevole sorriso. Mi ha alfine accettato? Ma è troppo tardi: devo lasciare l’albergo entro le 12:00.
In previsione di ciò, ero già in contatto con una signora sulla cinquantina, aria imprenditoriale ed onesta, che mi aveva fermato per ben due volte davanti ad un condominio turistico per farmi vedere un bellissimo appartamento da alugar, da prendere in affitto. Maria mi aveva lasciato il suo numero di telefono; la chiamo e concordiamo.
Questa volta mi offre un appartamentino per due persone con letto matrimoniale (in realtà sono due letti singoli accostati), cucinotto, soggiorno e bagno (senza bidet, come è la prassi qui a Salvador). Mi sta bene. Tra l’altro è un po’ più economico di quello che mi aveva proposto la prima volta: 70 R$ al giorno. Firmo il contratto per una settimana e pago anticipatamente.
Dal balcone e dalla finestra della camera la vista è splendida: alla mia sinistra il promontorio con il faro; di fronte la baia e l’oceano e sotto l’Avenida 7 Setembro.
Finalmente libero!... ma la libertà ha un costo: devo provvedere a me stesso, fare il bucato (!) e un po’ di spesa. Esco dirigendomi verso un vicino supermercato dove acquisto pochi generi alimentari che non richiedono cottura o altre forme di preparazione; bevande e um sabão para lavar a roupa, il sapone da bucato. Anche se si tratta di poche cose, le sportine sono minuscole e mi segano le mani.
Risalgo al 3° piano, dove si trova il mio appartamento; metto in frigo i prodotti deperibili poi ridiscendo per telefonare a Gabriela e organizzare finalmente quella tanto sospirata (e generosamente sovvenzionata) notte di fuoco. Utilizzo la carta telefonica “nazionale” in uno degli apparecchi pubblici disseminati lungo l’Avenida. Il telefono non ha la cabina, ma si trova in un “alveo” di colore vistoso: ha la forma di una conchiglia o di un padiglione auricolare e, proprio per questo viene chiamato orelha.
Gabriela non c’è. La sorella (?) mi dice alcune cose nella sua lingua che ovviamente non capisco. Mi scuso ripetendo che sono italiano poi metto giù. La solita figura barbina: pazienza, proverò più tardi. Questa mia virtuosa vacanza brasiliana farebbe invidia ad un uomo di chiesa o ad un missionario: un vero e proprio modello di castità e di condotta morale, al riparo dalle tentazioni e dai piaceri della carne...

Approfitto di questa pausa dovuta a motivi indipendenti dalla mia volontà, per fare alcune considerazioni sulla lingua portoghese/brasiliana.
In questo idioma sembra che i giorni della settimana si indichino a partire da domenica (domingo). Il lunedì, che per noi è il 1° giorno della settimana, per loro è la segunda-feira, martedì è la terça-feira, e così via fino a venerdì, il nostro 5° giorno (sexta-feira); poi viene sábado. Non c’è, non esiste, una “primeira-feira”. Che strano modo di indicare i giorni.
Del resto, pure noi abbiamo delle stramberie. Ad es. un palazzo di 10 piani, in effetti, risulta averne 9: il piano terra più gli altri dal 1° al 9°. E così, chi abita al 3° piano di un palazzo senza ascensore, si può consolare perché si tratta in realtà del 2°. Tuttavia le rampe di scala da percorrere sono comunque 6 (due per ogni piano)…
E i Francesi, cui pare sia venuta a mancare la fantasia dopo il numero 69 (soixante-neuf)? Infatti, 70 è “sessanta + dieci” (soixante-dix); 80 è “quattro x venti” (quatre-vingts) e 90 è “quattro x venti + dieci” (quatre-vingt-dix). Mah!...

Tornando alla mia locatrice, la Sig.ra Maria, mi sono fidato della sua cordialità e serietà. E’ una mediatrice che fa da tramite fra alcuni proprietari di piccoli immobili e clienti occasionali, in genere turisti, in cerca di un appartamento vicino al mare.
Già durante il nostro primo colloquio, vedendo il vistoso borsello che portavo appeso al collo (dove però ho l’abitudine di tenere solo una minima parte del denaro) mi aveva messo in guardia dal pericolo di essere derubato.

D’ora in avanti riporterò i dialoghi “reinventandoli” in italiano, in base a ciò che ho afferrato delle frasi pronunciate in portoghese.

- Vocé deve fare attenzione ai ladri quando va in giro. Loro notano il turista, adocchiano lo zaino, il borsello, l’orologio e gli altri oggetti di valore che porta con sé e potrebbero derubarlo. Dovrebbe tenere il portafogli e il denaro ben nascosto sotto gli abiti e non mostrare di possedere oggetti di valore che attirino i malintenzionati. -
Sono precauzioni che già adotto e pratico, per quanto umanamente possibile, già dal tempo dei miei viaggi nel Sud Italia: a Napoli, in Puglia, in Sicilia, ecc. Anzi, se devo dire la verità, a Palermo avevo subito un tentativo di scippo appena arrivato, quando ero ancora nei pressi della stazione, mentre qui a Salvador, non mi è ancora capitato nulla. Il furto, semmai, è quello legalizzato: in hotel, per usufruire della cassetta di sicurezza, indifferentemente dalla durata della permanenza, si devono sborsare 150 R$ e, se si smarrisce la chiave, le eventuali spese del fabbro per aprire la cassetta, certamente più onerose, si aggiungono a quelle del noleggio. Non mi è stato possibile fare una copia della chiave ed ero pressoché terrorizzato all’idea di perderla, più che se mi avessero portato via del contante.

Maria mi spiega, con molta pazienza le condizioni del contratto d’affitto. Firmo e pago in contanti. Ci rilassiamo un po’. Sfacciatamente, coinvolgo anche lei nel tormentone di questa mia vacanza che finora si è rivelata essere come un succulento piatto di lepre in salmì…senza la lepre…
- Come si può fare conoscenza con una ragazza, qui a Salvador? C’è qualche locale nei paraggi? -
Lei non capisce esattamente le mie parole – evidentemente, tranne che per un imbranato come me, una donna qui è molto facile da trovare: i problemi sono altri –
- Vocé è nella sua casa e può portare chi vuole. Ma io le consiglio di non far dormire qui la ragazza: ci sono molte ladre in giro, disposte a tutto, che possono derubarla durante il sonno e anche metterle un sonnifero nella bevanda per portarle via i soldi. Non si fidi delle donne trovate in giro e neanche di quelli che si dichiarano amici: nascondono sempre qualche intenzione poco seria.
Vada in qualche supermercato o allo “Shopping Barra” (un grande centro commerciale che conoscerò più avanti). Lì ci sono tante impiegate, tante commesse belle e giovani che non hanno bisogno di soldi e sono oneste. Guardi quella che le piace e la prenda come namorada
Patetica illusione: quando mai l’uomo ha potuto scegliersi la donna? Forse nelle case di tolleranza, divenute illegali in Italia circa 50 anni fa, giusto poco dopo la mia nascita… Tuttavia per me queste amare riflessioni e rispondo con un’ironica battuta:
- Bisogna vedere, però, se io piaccio a quella che a me piace! -
Maria rimane un po’ spiazzata. Forse ancora l’uomo può scegliere qui in Brasile; certo non io.

Alle 17:30 riprovo a telefonare. Finalmente è Gabriela a rispondermi, ma non può uscire. Mi spiega i motivi, ma io não percebi, non comprendo. Ovviamente, per l’ennesima volta, i miei progetti erotici (??) vanno in fumo. Amanhã sarà alla praia, al trabalho. Proverò domani per l’ultima volta: anche un vecchio porco ha una sua dignità.
Faccio un giro in attesa dell’ora di cena. Al ritorno mi fermo presso un ristorante alla buona dove avevo conosciuto quel cameriere che mi aveva chiesto il corrispondente in inglese di agua. L’esterno del locale occupa anche il largo marciapiede che costeggia il viale. Dopo un po’ che sono seduto ad un tavolino, mi abborda un giovane di colore che esibisce il braccio destro sciancato, con una gibbosità protesa in fuori come un gomito all’incontrario. Io lo avrei dovuto simbolicamente risarcire della sua menomazione con un’elemosina. Gli do 1 $, ma lui, con una certa arroganza, ne vorrebbe 5. Lo ignoro e alla fine se ne va. E’ un personaggio caratteristico che “batte” la zona del faro: lo incrocerò diverse volte in seguito, così come rivedrò ancora quella ragazza che chiede un aiuto in denaro raccontando una disgraziatissima storia familiare.

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Wednesday, June 06, 2007

Il Giardino di Allah

Giovedì 01/03/2007 (Quinta-feira)

A colazione rivedo il tipo avventuriero con la sua ragazza di colore. Lui l’avevo incrociato il giorno prima, da solo, in ascensore. Dal saluto avevo capito che era italiano; abbiamo scambiato due parole nel breve tempo della discesa: è originario di Parma ma vive in Abruzzo.
In ascensore si incontrano sempre persone nuove: sono gli unici, frettolosi contatti che intrattengo con i turisti dell’albergo. Questa mattina mi trovo a tu per tu con una bella ragazza che ha l’aria di non voler socializzare. E’ di carnagione bianca, leggermente olivastra. Chiedo se sta scendendo: non mi risponde. Evita lo sguardo con l’abilità e la consumata esperienza di una donna ferrarese. Usciamo contemporaneamente dall’hotel, ma non in compagnia. Io ho l’intenzione di raggiungere in taxi la praia Pituba. Prendo accordi con un conducente in sosta di fronte all’albergo. Anche la mia ritrosa compagna di ascensore chiede un’informazione allo stesso taxista. Salgo da solo sulla vettura. Chiedo all’uomo se quella ragazza è brasiliana; sembra di si. Il conducente, un po’ per interesse, un po’ per farmi una cortesia, mi sconsiglia di fermarmi a Pituba, che sarebbe la spiaggia sporca di un quartiere degradato o malfamato. Mi consiglia la praia Jaguaribe che si trova un po’ oltre. Avuto l’Ok si avvia lungo il viale interminabile che costeggia l’Oceano in direzione est. Facciamo molta strada. La costa è quella tipica di Salvador: rocciosa, con scogli bassi e livellati interrotti da spiaggette e insenature sabbiose. C’è poca gente al mare nei giorni di lavoro.


Dal Farol da Barra tocchiamo i quartieri e relative spiagge di Ondina, Rio Vermelho, Amaralina, Pituba – che effettivamente ha un’aria dimessa e appare deserta, né più né meno delle altre.



Quando siamo al Jardim de Alá, un luogo molto attraente che presenta gruppi di palme altissime, come un’isola tropicale attaccata alla città, decido di fermarmi. Siamo poco oltre la metà del tragitto; il tassametro segna una ventina di reais. Se vado oltre rischio di non avere abbastanza soldi per il ritorno. Non porto mai molto denaro con me quando vado in spiaggia: è l’unico modo per non rischiare di essere derubato ed è anche un limite naturale alle spese voluttuarie, quelle per gli oggetti che vengono continuamente proposti ai turisti in riva al mare.
Un “vecchietto” di carnagione scura, capelli rasati, baffetti neri e viso cordiale mi accoglie quando ancora non sono sceso dal taxi guidandomi verso la barraca con la stessa premura che avrebbe un portiere dello Sheraton nei riguardi di un facoltoso sceicco.
Il sombrero è gratis: si paga solo la consumazione. Prendo una cerveja che viene servita nel solito portabottiglie termico. Il problema, che avevo già notato nei giorni precedenti è che una quantità di mosche si mette pericolosamente a camminare sull’orlo della bottiglia e del bicchiere; il che, oltre che poco igienico, è anche disgustoso: è facile che l’insetto cada dentro la birra lasciata nel copo o, peggio ancora, entro la bottiglia. Si può ovviare “tappando” con il bicchiere rovesciato la garrafa, ma si ottiene una specie di fungo di vetro assai instabile.
Trascorro noiosamente la mattinata immerso nella lettura e nei miei tristi pensieri.
Prevedibile via vai di “ambulanti” da spiaggia, sebbene più contenuto perché i potenziali “clienti” sono pochi. Oltre ai soliti venditori di bigiotteria e articoli di vario genere, passa anche un tipo con un cartello da cui si apprende che pratica il massaggio cinese; una signora anziana e corpulenta si fa avanti per leggermi la mano e predire il futuro. All’ora di pranzo girano soprattutto quelli che propongono cose da mangiare tenute in contenitori di fortuna. Alcuni sono provvisti di pentolino metallico contenente della carbonella: a richiesta improvvisano un piccolo barbecue sulla sabbia per cuocere “alla griglia” spiedini e abbrustolire altri alimenti non meglio identificati.
Non mi lascio tentare. In questi giorni di depressione, non ho fame, per fortuna, e neanche sete. Per venire incontro al “vecchietto” simpatico che mi aveva accolto all’arrivo e che ogni tanto mi passa di fianco chiedendomi: “Tudo bom?”, mi faccio portare una batata frita. Gli lascio il resto di 1 R$. Mi ringrazia con sincera deferenza:”Obrigado!”.
La giornata al mare trascorre così, lenta e pigra. Delle favolose ragazze che farebbero a gara per offrirsi ai turisti maschi, assalendoli fin sulla spiaggia, neppure l’ombra.
Verso le 4 del pomeriggio la sabbia sollevata dal vento mi ha completamente appannato gli occhiali. Il “garzone” del bar ha l’aria di sbaraccare. Per loro la giornata è finita, quando per me, alla stessa ora, sui nostri lidi si farebbe più rilassante essendo il sole non più così fastidioso. Mi informo per tornare indietro in bus e per chiamare in Italia, dove sono circa le 8 di sera. L’inserviente della barraca fa di tutto per aiutarmi. Sta smontando dal lavoro. Dopo un po’ di attesa mi accompagna ad un vicino centro commerciale dove ci sarebbe la possibilità di usare il telefono se non ci fosse una coppia di ragazzi impegnata in una conversazione interminabile. Il mio amico, che intanto si è presentato - si chiama Marcel – mi lascia il “biglietto da visita” invitandomi ad andarlo a trovare tutti i giorni al “bagno” dove presta servizio: verrei volentieri, ma è troppo lontano dal mio alloggio. Marcel ha 46 anni (è più giovane di me!..); vive con la moglie e il figlio piccolo a 40‘ di strada a piedi dalla barraca del Jardim.
Attende pazientemente che io faccia la telefonata, ma quando finalmente vengo in possesso dell’apparecchio, non riesco a combinare nulla. La maledetta “cartão intenacional” che avevo acquistato il giorno prima in un’edicola e tentato di utilizzare mentre Gabriela e Jean parlavano, ha un uso complicatissimo e sembra morta e sepolta. Alla fine desisto.


Il mio amigo mi porta alla fermata dell’autobus. Normalmente lui torna a casa a piedi (circa 4 km!), ma per essermi d’aiuto sale con me sul bus. La tariffa è 2 R$ a testa. Vedendomi in difficoltà per trovare la modesta somma, paga anche la mia corsa. Io gli allungo 1$; è un po’ perplesso: non sa che qui un dollaro americano equivale a 2 reais. Quando siamo prossimi alla sua fermata, prima di scendere avverte rumorosamente sia il bigliettaio che il guidatore, di lasciarmi il più vicino possibile all’albergo. Disarmante la disponibilità di questi brasiliani: semplici, poveri ma pieni di umanità.
Rientro. Cerco di farmi spiegare dal portiere della reception come si utilizza quel cavolo di cartão intenacional, ma non riesco. E neppure loro: la carta risulta bloccata. Forse i miei vari tentativi di attivare il servizio hanno fatto scattare un meccanismo di protezione del codice, così la preziosa cartão mi dà l’ennesima fregatura. Ma l’invenzione di Meucci (Bell per gli americani) è arrivata in Brasile oppure no? Chiamo infine dalla camera.
Esco verso le 20:00. Vado a mangiare in un ristorante-pizzeria dal nome italiano. Qui le pizze sono tutt’altro che un cibo a buon mercato: costano come, se non di più dei secondi di carne, tipo il filet.

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