LETTERA A UN AMORE MAI NATO
– Amore mio – mi rivolgo a te con questa abusata parola, stravolta, svilita, svuotata di senso, ipocritamente pronunciata per scopi anche opposti al sentimento cui si ispira – ti prego di leggere con pazienza questa mia tardiva dichiarazione che non ha alcuna pretesa se non quella di rivolgerti un saluto con la penosa sensazione che potrebbe anche essere un commiato.
Ti inseguo da tanti anni, potrei dire da una vita, ma non ti sei mai voltato a guardarmi, nel tuo svagato, leggero fluire, mosso da correnti nascoste verso mete lontane, lungo rotte misteriose e imprevedibili che non ho mai saputo raggiungere o indovinare. Raramente sono stato bersaglio delle tue frecce, ed ogni volta mi sono sentito perduto. Non possiedo l’esibita sicurezza di chi ritiene il proprio sentimento puro e assoluto, conosco solo lo smarrimento, il senso di inadeguatezza, l’infinita pena di chi non sa donare il proprio cuore.
Da tempo osservo le tue mosse e le tua mutevole, bizzarra natura, ma di nascosto, con l'ansia di uno scolaro che si sente impreparato; col passo furtivo di un ladro che insegue un facoltoso damerino per cercare di sottrargli qualche soldo in un momento di distrazione. Ma sei troppo vigile e attento e severo con chi non ha fiducia in te. Nulla hai voluto concedermi: sono cresciuto nell’indigenza e nell’angoscia, perché tu sei la mia malattia, ma anche la mia medicina, un farmaco salvavita, necessario, cruciale, indispensabile, ma riservato a pochi eletti; introvabile, irreperibile, indisponibile proprio nel momento del maggior bisogno. E non c'è dubbio che io sia un sofferente cronico, un malato incurabile in fase terminale.
Non ho mai osato mettermi sulla tua strada, per impietosire, pretendere o elemosinare, come un questuante; un maledetto orgoglio me lo impedisce: è la condanna dell’uomo che non deve chiedere mai e che, appunto, nulla ottiene e nulla stringe. Un perverso automatismo mi obbliga a fuggire i tuoi sguardi, a soffocare le mie emozioni e a vergognarmene, a nascondere i miei desideri mostrando indifferenza. Pensi che io non abbia il coraggio di affrontarti a viso aperto, che abbia paura dei miei sentimenti? No. Si tratta di un ancestrale timore, una diffidenza inestinguibile verso colei in cui tu ti incarni, la donna, la femmina, l’essere che ha il cruciale privilegio della scelta e può arbitrariamente decidere della tua felicità o della tua disperazione, salvarti o dannarti con un “Si” o un “No”. Come posso accettare che il mio destino sia nelle mani di un essere così estraneo alla mia anima, così miope, spietato, capriccioso e ingiusto?... Ma così è stato per me… E allora crepi Sansone con tutti i Filistei! Una natura matrigna o un dio sadico e crudele, hanno congiurato affinché io fossi sempre in guerra con me stesso e il mio cuore un eterno campo di battaglia, luogo di sconfitte, dolore, morte e devastazione… Ineffabile crudeltà della vita.
Capisco che questa mia confessione non ha i toni elogiativi di chi cerchi benevolenza, ma non sto scrivendo una lettera di benemerenze, né una richiesta di grazia. Non posso evitare di rendermi sgradevole e, a voler essere sincero fino in fondo, dei miei disastri amorosi un po’ di colpa l'hai anche tu. Come ci si può abbandonare ciecamente ad un sentimento così totalizzante, accentratore, possessivo e anche egoista nella sua pretesa che lei, la persona amata, debba corrispondere con pari entusiasmo, passione, impegno, perdita totale di sé al tuo perfetto sentimento nei suoi riguardi? L’amore è per sua natura tirannico e assolutista: per questo è così raro. Ed è anche altamente deperibile; una condizione emotiva che si corrompe facilmente, un alimento dello spirito che è necessario consumare fresco, non essendo possibile conservarlo, intatto nel gusto e nel sublime sapore, oltre la data di scadenza la quale è spesso molto diversa fra i due soggetti coinvolti. Scusa la pedanteria, ma ormai che altro ho da perdere?
Il tempo ha consumato inutilmente ogni mia illusione, anche se la bellezza non ha smesso di straziarmi, ostile come è sempre stata e nemica, ora più che mai. Guardo le mie coetanee, quelle che avevano vent’anni quando anch’io avevo vent'anni: ancora, un volto, un sorriso, uno sguardo, il molle sussulto di un seno, la curva armoniosa dei fianchi, le gambe, l’ipnotico dondolio di natiche e cosce, mi feriscono con scintille di desiderio, ma non è più il corpo nella sua interezza ad accendermi di passione: le polveri sono bagnate…
Ah se fosse possibile innamorarsi di una donna formata con parti da te scelte, secondo il tuo gusto, una donna componibile come certi mobili moderni, una donna Ikea!… Ma sono convinto che nessuna di quelle parti femminili ricambierebbe il mio amore: subito fuggirebbero scandalizzate.
Non temere, non voglio sconvolgere i tuoi arcani disegni, le divertite trame: non ho frecce, non ho amuleti, non ho filtri magici: sono un seduttore senza carisma, un erotomane pudico, un casto libertino. A dire il vero, non sopporto più che tu ti faccia beffe dei miei sentimenti. Quando mi ferivi con qualche tua saetta vagante, la mia sofferenza era doppia poiché avevi trascurato di colpire proprio colei cui mi votava amore. Basta. Non tollero altri giochi crudeli; rassegno le dimissioni da questo inafferrabile mondo di affetti e passioni che mi hai fatto solo intravedere, per tormentarmi, dalla perenne anticamera della mia vita. Ho una dignità anch'io, nonostante tutto, per cui abbandono ogni illusione, ti lascio; cedo ad altri il posto così indegnamente occupato in questa umana commedia di cui sono riuscito ad essere solo irrequieto spettatore. Sigillerò la mia anima in un ruvido guscio nel crudo inverno che mi spetta.
Addio.
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