RICORDO CON RABBIA
(V)
Quando iniziai le scuole superiori, la mia angoscia crebbe. Ogni giorno mi scontravo con la disinvolta, artificiosa vitalità dei miei compagni, con l’ambiente umano, a me estraneo e ostile cui muovevo una guerra silenziosa. Rimanevo aggrappato al mio moralismo, ai rigori, alle mortificazioni medievali, per paura di contaminarmi, perché tutto era peccato, eccesso e sregolatezza.
E poi i miei turbamenti sessuali, di cui avevo vergogna e cercavo di soffocare come potevo. Con le ragazze era un vero disastro, non sapevo cosa fare, scappavo via, evitavo qualunque contatto e del resto non avrei potuto neppure immaginare un rapporto con una persona dell’altro sesso, perché mi sentivo un mostro: io, la cupa Bestia senza speranza, lei la Bella soave, disinvolta, inarrivabile. E il lieto fine appartiene solo al mondo delle favole.
Alla mattina, prima di andare a scuola, entravo qualche volta in chiesa, solo pochi minuti per chiedere al Signore di aiutarmi ad affrontare la giornata, a sopportare l’ansia delle relazioni con gli altri, i quotidiani confronti, i commenti crudeli, le prese in giro da cui uscivo sempre umiliato e sconfitto e in odio a me stesso. Ma Dio se ne stava distante e muto, come sempre. In quel periodo, mio padre temeva che volessi farmi prete.
Avrei dovuto fare come te, nonno: lanciarmi all’assalto delle femmine che se ne stavano impassibili ad osservare le mosse dei ragazzi, protette dal filo spinato dietro nidi di mitragliatrici; avrei dovuto affrontarle da ardito, con il pugnale fra i denti, la baionetta inastata e le bombe a mano, superando d’un balzo i campi minati e il fuoco nemico, piuttosto che rimanere nascosto, a macerare fra paura e disperazione nel fango della trincea.
0 Comments:
Post a Comment
<< Home