La gatta sul letto che scotta
Ci stendiamo sul letto. Intravedo nella penombra le forme della mia geisha nera: la pelle è scura ma una alone chiaro contorna i capezzoli del suo seno acerbo: due macchie bianche nell’oscurità, come gli occhi di una gatta. La bacio. Lei risponde docilmente. Ha una bocca insospettabilmente grande per un viso e un corpo così minuti. La mia lingua cerca la sua… Strano... Non la sento. Forse si è nascosta o si è fatta da parte per lasciarmi esplorare liberamente la cavità orale, ma io non sono un otorinolaringoiatra e neppure un dentista…
Con la mano seguo il solco delle natiche e sospingo le dita sotto le slip. Arrivo alla centralina del piacere. Apro delicatamente l’umida fessura, percorrendo i morbidi contorni con un carezzevole movimento ondulatorio mentre continuiamo a baciarci. Lei si denuda completamente, interrompendo il silenzio:
- Hai la camizinha?
Immagino intenda il preservativo.
- C’è ancora tempo, ma non preoccuparti: “no criaças”; faremo in modo da non avere bambini.
In effetti la mia erezione non sostiene l’uso del profilattico, almeno nelle poche occasioni in cui ho avuto modo di verificarlo in questi ultimi, castissimi anni. L’erezione c’è e non c’è, va e viene, si fa attendere, o si limita ad un 70%, se la partner non collabora, e le manovre per inserire il preservativo peggiorerebbero la situazione. Dovrei aiutarmi con il Viagra, me le occasioni per usarlo sono talmente rare e imprevedibili, oltre al costo notevole della famosa pillola blu, che preferisco lasciare le cose come stanno. Inoltre bisogna preventivare il rapporto sessuale di almeno mezzora e chi può dire, con le donne che ci ritroviamo al giorno d’oggi di non prenderlo inutilmente?
Mi concentro su Gabriela. Ho un’erezione di media entità. Mi dispiace non poter offrire di meglio alla mia amante, ma il vigore dei vent’anni è finito da un pezzo e non ho neanche dei bei ricordi perché già allora, soprattutto allora, non c’erano donne interessate alla mia giovinezza ed oggi la depressione strisciante, gli ormoni in calo e l’ipercolesterolemia non mi consentono altro.
Con la bocca lambisco l’orlo dei capezzoli; la lingua scivola sulle piccole areole che si rassodano a quel tenero contatto. Discendo rapidamente lungo la morbida spianata, superando i molli rilievi del bacino, fino al monte di Venere. Mi metto comodo per una ristorante sosta in zona, con la testa fra le cosce della ragazza, le labbra appoggiate alla fragrante ciambella. Ha un aroma gradevole, fresco; sembra di saggiare con la lingua i petali di un fiore tropicale: caldo, umido di rugiada, odoroso come il profumo proveniente dalla breakfast-room dell’albergo, e altrettanto invitante.
Mi do da fare per procurarle soddisfazione, come faccio sempre con le rarissime fortunate che mi hanno concesso le loro grazie gratuitamente. L’area genitale si inturgidisce; il clitoride si erge e diviene perfettamente percepibile. Posso seguirne i contorni con la punta della lingua, muoverlo a destra e a sinistra, in su e in giù. Lo afferro con le labbra, traendolo in bocca con un voluttuoso risucchio e poi ne titillo delicatamente la sommità con i denti.
Senza cambiare posizione, accarezzo Gabriela all’interno e all’esterno delle cosce, con la mano aperta. Il pollice rimasto libero si fa largo nella vagina, penetrandola ritmicamente, mentre in contemporanea la lingua disegna lussuriosi arabeschi sui rilievi esterni.
E’ una manovra che dovrebbe procurare un intenso piacere alla femmina oggetto di così amorevoli attenzioni, ma Gabriela, dopo quelle fisiologiche reazioni dei genitali, non sembra particolarmente eccitata. Getto uno sguardo all’insù dalla mia posizione in fondo alla valle dell’Eden e la percepisco un po’ lontana, vagamente assente, come in pigra attesa. Chissà dove si trova la sua mente in questo momento. Sono le mie arti amatorie a non coinvolgerla o è distratta da qualche pensiero? Mi accarezza la testa con gratitudine. Quella sua precedente non reazione mi lascia un po’ deluso, ricorda i rapporti con le prostitute.
E’ convinzione comune, soprattutto fra le donne che non sanno e non capiscono nulla della psicologia maschile, che per un uomo far l’amore con una mercenaria sia un evento particolarmente libidinoso, trasgressivo ed appagante in misura proporzionale alla bellezza della cosiddetta “professionista del sesso”. Non è così, o non lo è per me.
Non c’è piacere se lei non reagisce alle tue carezze, e si sa che le prostitute ti danno la fica (solo, però, se hai infilato preventivamente il tuo uccello in un asettico guanto di lattice), ma non si lasciano baciare né coinvolgere in altro modo – se non seguendo una lista dei prezzi – e al massimo mimano il piacere e i sospiri per darti un po’ di soddisfazione visto che hai pagato. Quelle più stronze e meno indulgenti allargano solo le gambe senza nemmeno disturbarsi a fingere un po’ di eccitazione. Quanto si può sentire appagato un uomo da questo tipo di rapporto? Come un pescatore che butta la sua canna nel laghetto della pesca, dove i pesci vi sono stati introdotti solo a quello scopo e non possono fare altro che attaccarsi all’esca. Come un predatore costretto a nutrirsi di carne avanzata dal pasto di altri.
Anche Gabriela, ad un certo punto sembra quasi “ricordarsi” che sta facendo l’amore e accenna qualche sospiro. Con questo non voglio darle della puttana. Potrebbe semplicemente essere un po’ frigida o, ancora più probabile, potrei non piacerle.
Mi accorgo quando una donna finge l’eccitazione erotica e mi procura ancora più delusione e senso di inadeguatezza che se non cercasse di fingere.
Oltre al turgore dell’area pubica, l’erezione del clitoride ed altri fenomeni di alterazione genitale che la famosa coppia di sessuologi americani, Masters e Johnson, aveva descritto come “fase plateau”, l’orgasmo nella donna è segnalato da una sorta di scossa elettrica che si irradia dal monte di Venere, uno spasmo che fa vibrare il clitoride e le grandi labbra che da esso si dipartono. La sessualità femminile non è così misteriosa come ci si immagina, soprattutto se ti trovi a contatto di lingua con il sesso della donna e lo senti tremare e fremere, in risposta alle tue sollecitazioni; ed è come trovarsi al centro di un terremoto che tu stesso hai provocato.
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